Ice Cube – Man Down

Voto: 3,5

L’anno che sta per concludersi ha riservato parecchie soddisfazioni provenienti da quella porzione di vecchia guardia che ha accolto il richiamo dell’artform generando ritorni parecchio sorprendenti, in alcuni casi capaci di demolire qualsiasi timore e riserva. Si sa, spesso l’avanzare dell’età comporta un calo fisiologico, a questo punto del cammino il meglio lo si è già offerto e non di rado si rischia di cadere nella mera nostalgia, cercando di rievocare qualcosa che il presente non è riuscito a trattenere, scivolato via troppo lontano per reggere il confronto con l’attualità, correndo così seriamente il rischio di macchiare la propria carriera; non è certo stato questo il caso di alcuni degli artisti che questi ultimi dodici mesi li hanno segnati in profondità, grazie a dischi meravigliosamente sontuosi (Common e Pete Rock), sfide imprevedibilmente vinte a mani basse (LL Cool J, col prezioso ausilio di Q-Tip) e dimostrazioni di una costanza illuminante (Masta Ace), segno che tale raggruppamento di non più giovincelli perseveri nel suo essere determinante nel tenere dritte in piedi le sorti dell’amato Hip-Hop.

Come occorso per alcuni degli artisti appena menzionati, per lungo tempo anche il pluridecorato Ice Cube pareva essersi accomodato fuori dai giochi, se non altro perché la più che soddisfacente esperienza cinematografica l’aveva in parallelo distolto dall’attività principale, aumentandone a dismisura la notorietà con un meccanismo inversamente proporzionale alla prolificità musicale. Giunge quindi un po’ a sorpresa la notizia dell’arrivo dell’album numero undici di una discografia per lunghi tratti eccellente, ricca di classici confezionati sia da solista che in gruppo, tuttavia diradatasi notevolmente nella cadenza delle pubblicazioni (di “I Am West” avremmo fatto volentieri a meno…) se paragonata alla sfolgorante produttività della prima metà degli anni novanta, periodo nel quale O’Shea Jackson aveva cementato per l’eternità il suo status di king della west coast, raggiungendo uno stato di forma sostanzialmente mai più rivissuto.

Man Down” restituisce alla scena un rapper conscio di ciò che rappresenta, ma non del tutto ancora appagato e, soprattutto, nel pieno delle sue facoltà liriche. Chiaro, il fuoco originale magari si è affievolito, ma la rivolta interna è viva e vegeta: non è più l’artista incazzoso e reazionario degli esordi e di certo non può sussistere la pretesa che la sua musica derivi dal medesimo vissuto di trent’anni fa, tuttavia va detto che Cube è rimasto coerente verso se stesso, mai ha dimostrato di essersi venduto a Hollywood forzandosi ad accondiscendere all’estetica promossa da quel tipo di ambiente, ha sempre continuato a esprimere le sue opinioni con forza, disinteressandosi di quelle altrui e delle critiche ricevute per le posizioni personali, sempre mantenute e sbandierate con fermezza. Nel corso delle diciannove tracce, che coprono una distanza di poco superiore all’ora, è infatti possibile riconoscere lo stesso personaggio di un tempo, fiero di portare con sé i valori del ghetto, di non dimenticare le proprie origini, di essere un incurabile maschilista, di confermarsi brutalmente diretto, rancoroso e polemico verso tutto ciò che l’attualità non gli permette di digerire.

Emerge allora il quadro di un artista che, nonostante la sua immensa fama, l’innegabile aura leggendaria che si porta appresso, il suo immediato abbinamento al Rap di Los Angeles, nonché le soddisfazioni raccolte nell’ambito del cinema, ritiene ancora opportuno scoccare qualche freccia avvelenata in varie direzioni, forse per natura personale, forse per crearsi motivazione, chi lo sa, oppure solo per alimentare quella forte opinione di sé mai abbandonata, in particolare se si tratta di dover scendere nuovamente in campo per impartire una sonante lezione di stile a quei baldi giovanotti che pensano di valere il doppio pur avendo dimostrato la metà e che di certo non sarebbero qui senza la strada faticosamente spianata da chi, come Cube, ha dovuto superare numerosi ostacoli in tempi durante i quali le explicit lyrics non erano esattamente ben viste dai benpensanti. Il via alle ostilità è dunque ufficializzato da un bel singolo d’apertura, “It’s My Ego”, che suona quasi come una rivincita verso i detrattori, con qualche sassolino che finalmente abbandona il retro delle sneakers fomentando quella percezione nella mancanza di un riconoscimento sufficiente (<<I was Kendrick before Kendrick/Rock & Roll Hall of Famer like Jimi Hendrix>>), mentre il beat di E-A-Ski fa sperare che l’inverno possa terminare presto, in modo da poter abbassare i finestrini e pompare quei bassi all’infinito, alternando la versione originale a quella “Ego Maniacs” che, con la compresenza di Killer Mike e un infiammato Busta Rhymes, chiude molto più che degnamente il percorso.

Nonostante qualche suono sia scintillante e conforme ai più recenti trend, è apprezzabile il fatto che non sia andata persa una certa durezza – seppure in chiave west – presente in un soddisfacente numero di circostanze, creando sovente l’atmosfera giusta. E’ questo, con pochi dubbi, il caso di “Not Like Them”, una delle tracce più apprezzabili del lotto per quella magica combo tra sezione ritmica, synth e cori che quella brezza tra le palme la fa proprio respirare a fondo, mentre si ascolta con attenzione un testo aspramente avverso alla modernità e alla generica diminuzione nell’uso del cervello. “Break The Mirror” è una bastonata tra le gambe in grado di atterrare chiunque, con quel sintetizzatore trionfale e il minaccioso incedere lirico di due purosangue come il padrone di casa e Xzibit, delineando un savoir-faire prettamente losangelino, che si propaga tanto sull’ottima mistura tra campanelli e mariachi pensata per “I’mma Burn Rubber”, quanto per un altro incrocio tra icone locali stavolta allestito assieme a B-Real nella tosta “Let’s Get Money Together”, altre esemplificazioni di un’esaltazione che abbiamo provato già al primo ascolto.

Il disco tende tuttavia a prendere fuoco con la stessa facilità con cui fornisce i principali punti di domanda, risentendo in concreto di qualche problema di continuità. Per ogni “Rollin’ At Twilight”, deliziosa nel suo creare un dipinto al calar del sole ricco di nostalgia tra una chiacchierata e una bevuta in veranda pensando a chi non c’è più, tocca sorbirsi l’eccessivamente morbido up-beat di “So Sensitive”, così contraddittoria tra l’intento del testo e la composizione all’acqua di rose. A ciascuna “5150”, altra manata che restituisce il Cube più rude e malizioso, corrisponde una “No Cap” pessima nel ritornello, ricca di barre sterili, roba da skip immediato. Ogni idea originale nei contenuti e ben arrangiata nei suoni, così com’è “Scary Movie”, si porta appresso il peso della scontatezza (per esecuzione e temi) di una “She’s Sanctified”, peraltro ben gestita nelle atmosfere e nei suoni, ma che riunisce autentici mostri sacri della west solo per promuovere il culto della donna oggetto, quando le potenzialità di Snoop, Too $hort e di un comunque fenomenale E-40 (che dizione!) avrebbero fatto sperare ben di più.

A volte sorprendente, come dimostra l’Electro esplicitamente old school di “Especially You”, in altre troppo navigante su certezze acquisite (vedasi “3 Lil Piggies”), in altre ancora emozionante nella commistione tra liriche e suoni come nell’intensa “Ghetto Story” o nel piacevole Soul di “Fighting For My Life In Paradise” (nella quale Kurupt non sa letteralmente come arrivare a fine strofa…), “Man Down” si rivela essere un lavoro di non facile giudizio, dal momento che l’indiscutibile fascino di alcuni pezzi non è sempre adeguatamente bilanciato dalla presenza di altri di cui la scaletta avrebbe tranquillamente potuto fare a meno. Sarebbe risultato migliore se opportunamente scremato di una manciata di episodi, però nel complesso rimane ampiamente al di sopra della mera sufficienza, considerato il grande carisma dell’autore – per quanto la consistenza nelle rime sia un minimo altalenante – e l’estrema solidità della maggior parte della produzione, entrambi fattori che permettono di decretare un’impressione finale ampiamente soddisfacente. Non sarà un ritorno col botto come altri ce ne sono appunto stati, ma conserva intatta la dignità artistica di un’autentica colonna del Rap di Los Angeles.

Tracklist

Ice Cube – Man Down (Lench Mob Records 2024)

  1. Rollin’ At Twilight
  2. It’s My Ego
  3. So Sensitive
  4. She’s Sanctified [Feat. Snoop Dogg, E-40, Too $hort and October London]
  5. Not Like Them
  6. 5150
  7. No Cap [Feat. K-Mayor, IshaDon and Mike Epps]
  8. 3 Lil Piggies
  9. Ghetto Story
  10. Facts [Feat. J-Dee]
  11. Fighting For My Life In Paradise [Feat. Kurupt]
  12. Let’s Get Money Together [Feat. B-Real]
  13. I’mma Burn Rubber
  14. Especially You
  15. Break The Mirror [Feat. Xzibit]
  16. Talkin’ About These Rappers
  17. Scary Movie
  18. Take Me To Your Leader
  19. Ego Maniacs [Feat. Killer Mike and Busta Rhymes]

Beatz

  • Cassius Jay and Elon Deondre Brown: 1
  • E-A-Ski: 2, 19
  • T-Mix: 3, 4, 9
  • Nottz: 5
  • Bigg Von and Davon: 6
  • Zaytoven: 7
  • Policy Kings: 8
  • DecadeZ: 10, 12, 13
  • David Banner: 11, 18
  • Ice Cube: 14
  • Samuel (The IIIrd) Elliot and Bigg Von: 15
  • Lil Jon and Young Slade: 16
  • Hallway Productionz: 17
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