Homeboy Sandman – There In Spirit

Voto: 3,5/4

Homeboy Sandman ha raggiunto la libertà che sognava, raccogliendo e fronteggiando le sue sofferenze, scegliendo di alleviare i pesi che torturavano il suo cammino e occupavano in maniera subdola la sua mente. Lo si sente dalla maturità artistica espressa negli ultimi dischi pubblicati, una pace dei sensi la cui positività è chiaramente riflessa dall’assenza di convenzionalità tipica del suo modo di proporsi, una libertà – appunto – che gli consente di gestire i propri tempi come meglio crede, facendo musica per il gusto di farlo ed evitando accuratamente ogni tipo di nozione riguardo le direzioni intraprese dal mercato odierno.

There In Spirit” è un ascolto breve, ma non per questo manca di essere impegnativo, riflessivo, profondo. E’ scritto secondo un registro che delinea un’indole tranquilla eppure in costante evoluzione, curiosamente associata a quell’irrequieto bisogno di ricerca personale, di analisi e comprensione, che dalla pubblicazione di “Dusty” e “Don’t Feed The Monster” ha di certo svoltato quell’angolo oggi non più così spigoloso da aggirare. Questo percorso è servito per riconoscere il proprio malessere, concentrandosi sul miglioramento della condizione dello spirito, fino a varcare il passaggio tra idealistico e pratico dando vita a una sorta di autodisciplina che, grazie all’ennesima, affascinante contraddizione, cerca di spianare la strada verso la propria liberazione.

In affiancamento al tragitto c’è Illingsworth, produttore originario di Detroit accomunato dall’affiliazione alla scuderia Mello Music Group e qui responsabile di un sound molto pertinente alla sensibilità del rapper. La ricerca di campioni melodici pieni, frazioni di suoni maggiormente scarni, l’utilizzo secondario del sintetizzatore – utile a creare effetti di contorno al loop principale o atto a svolgere la funzione del basso – convergono in una cartella di beat a volte impostati in maniera più tradizionale, in altre invece assecondanti il voluto disordine delle trame liriche di un rapper che trova la sua chiave distintiva principale nella totale assenza di confini in materia di cifra stilistica.

Non è un caso che diversi brani siano molto insistenti nell’utilizzo di particolari termini, siano essi riferiti al titolo della traccia o meno, quasi come se l’autore desiderasse invocare a più riprese una concentrazione che pare sfuggire sempre più a causa delle tante distrazioni che viviamo ogni giorno, la cui causa è individuata nell’utilizzo di una tecnologia qui soggetta tanto a critica sottile quanto a esplicita fonte di autoironia (<<got emojis from my godfolks/couldn’t see ‘em ‘cuz I don’t have a iPhone/like, it’s been forever since we even knew him/let’s send him some rectangles with X’s through ‘em>>“The Only Constant”). Homeboy non predica e non chiede di essere seguito, prende semplicemente le distanze e lascia qualche consiglio per chi ha desiderio di ascoltarlo, nulla più. Il suo atteggiamento zen, particolarmente dedicato alla salute fisica e mentale dell’individuo, getta la sfida a una società completamente governata dalla fibra ottica, lasciando messaggi privi delle metafore del passato e privilegiando una scelta espressiva basata sull’esplicitazione del comunicare.

Già l’introduttiva “Something Fly”, pur offerta con della salsa musicale un tantino insipida e che fa il suo dovere senza infamia né lode, fornisce una dimostrazione dell’intelligenza costruttiva dei versi, i quali vedono l’estenuante ripetizione del titolo al termine di ciascuna barra, celando un doppiofondo che lega ogni riga alla successiva e facendo emergere un po’ alla volta un concetto portante dedicato alla visione degli aspetti davvero importanti, evitando facili scappatoie, cercando una via di fuga dalla vile mistificazione della vanità della società odierna. “Voices (Alright)” ripete l’esercizio modificandone tuttavia le dinamiche metriche: vero, il termine alright presenzia alla fine di ogni verso che compone la prima strofa, ma se lo si sottrae dal resto si capisce come lo schema primario sia un altro, molto più versatile rispetto a ciò che l’apparenza suggerisce. Un rebus molto fine, arricchito dall’eccellente operato di Illingsworth su un sample già favoloso di suo, che preserva la melodia originaria fondendola alla linea di basso suonata, nonché per il trattamento degli effetti distorsivi che non espongono il beat a sensazioni di prevedibilità.

L’enunciato delle parole riveste un peso specifico importante, la velocità nella dizione viene accantonata in favore di uno stile più conversazionale, la pronuncia è accurata; in aggiunta all’ascolto, Sandman desidera ci sia tempo anche per il ragionamento prima di giungere alla frase successiva. “Feels So Good To Cry” possiede un umore ottimamente riflesso dalle emozioni emanate da un apparato musicale nel quale il loop vocale riveste un ruolo determinante nell’espressione della sofferenza trasposta nelle liriche e “Keep That Same Energy” fa ballare la testa allo stesso ritmo del campione di archi che sembra proiettare uno scenario desertico e sabbioso, il testo è poi scritto con indubbia astuzia mentale offrendo grandi quantità di messaggi pacificamente ribelli da digerire con calma (<<I peep for misdirection and diversion/I’m not convinced with the official version/it’s really hampering my extra version/my oil’s extra virgin>>).

Tuttavia, il perseguire il bene del prossimo e la positività generica non equivalgono allo starsene passivamente inermi, quindi è bene ricordare che nella vita – almeno ogni tanto – ci si deve anche difendere. Meglio mettersi in guardia contro tutti gli atteggiamenti che governano la massa cercando il proprio svincolo ideale, un’idea ben esemplificata dall’estrema insistenza del ritornello (<<if you don’t stand up, they will never stop>>) di una “Stand Up” possente nella sezione ritmica e molto carina con quel giretto di hammond così minimale e incisivo, accompagnando un testo scritto da una persona consapevole di dove si trovi (<<I chase the rainbow like I’ve been told/I smell the pot, but where’s the pot of gold?/I went to Vegas, it was a joke/whatever hand, I would never fold/see, I was blessed with a lot of rope/I got the room ‘til I found my role/now I’m on a roll>>). Non conosciamo invece i destinatari degli strali scagliati dalla gioiosa “Epiphany”, ma è evidente come il testo vada in analisi – parte critica e parte giustificativa – nei riguardi della propria personalità, confrontandola con determinati episodi al fine di comprovare l’impossibilità di provare fastidio per determinate circostanze o persone, al di là della sottolineatura del riconoscimento dei propri limiti (<<confrontation is very unlike me/Still, the chance of agreement is unlikely/But what is the cause?/I’m not breaking any universal laws/Busy thinking “How’d it come to this?”/But then it hit me like a ton of bricks>>).

Sette brani, ventidue minuti scarsi di ascolto, montagne di appunti da annotare: sembrano cifre messe lì a caso, ma il calcolo porta a comprendere fin troppo bene quale sia lo spessore umano e artistico di Homeboy Sandman.

Tracklist

Homeboy Sandman – There In Spirit (Mello Music Group 2022)

  1. Something Fly
  2. Keep That Same Energy
  3. Voices (Alright)
  4. Stand Up
  5. The Only Constant
  6. Feels So Good To Cry
  7. Epiphany

Beatz

All tracks produced by Illingsworth

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