Four Elements & Beyond – Clock The Chemistry
New York grit. Il concetto descrive emblematicamente la natura perseverante di una città che non si arrende di fronte agli ostacoli della vita, al disagio quotidiano, e sono oramai centinaia le trasposizioni in musica di questo modo d’essere insito in chi in determinate situazioni ci è nato, assumendo un emocromo di stampo completamente differente da quello di qualsiasi altra realtà. La golden age del Rap ha lasciato parecchio in eredità, su tutto la matrice di un suono evocativo dell’ambiente nativo del movimento Hip-Hop, capace di trasmettere un feeling inequivocabile, intenso, che non misura la difficoltà dell’ostacolo che gli si para davanti ma si attrezza per capire come superarlo rimanendo indenne. Sentimento e orgoglio sono ciò che la vecchia guardia ha saputo meglio trasmettere ai posteri, casomai il problema patito dai medesimi è stata la ricezione di quel testimone attraverso un’azione di conservazione che non fosse solo misera copiatura attitudinale o un’operazione nostalgica del tutto priva di costrutto, il che è conseguito nella coltivazione di una scena underground spesso dispersiva in termini di talento; perché, diciamolo chiaramente, a volte basta riproporre il piatto con una salsa leggermente differente e uscite che trent’anni fa non sarebbero nemmeno state pubblicate ricevono lodi per le quali si fatica a reperire una logica.
Rimangono allora poche alternative, nel senso che o ci si dedica allo scavo archeologico con malinconia, riflettendo su quanto gli artisti di un tempo fossero dannatamente all’avanguardia, o si prende qualche deviazione completamente innovativa per esplorare le infinite diramazioni di un genere malleabile come nessun altro al mondo. Oppure, ancora, ci si intestardisce su una ricerca che vada a trivellare su coordinate più profonde rispetto alla consuetudine di proposte che si somigliano sempre più tra loro e spesso hanno poco da aggiungere al contesto generale, dissotterrando quanto – per motivi francamente incomprensibili – possa essere sfuggito alla maggior parte dei commentatori specializzati. I Four Elements & Beyond, così censiti in omaggio ai quattro elementi dell’Hip-Hop, possiedono senz’altro una vocazione preservatrice della Cultura, ma la gestiscono con semplicità e bravura, riportando l’attenzione semplicemente a quella che è l’essenza più pura del Rap e dei luoghi della sua origine, dimostrando che una formula comprensiva di tangibili abilità liriche e una produzione a tratti eccellente non deve necessariamente essere confusa quale opera di riciclaggio. <<Let me tell ya somethin’…New York is back!>>, come recitato in apertura di “Clock The Chemistry“, individua con immediatezza lo spirito rivendicativo del ruolo di culla del movimento culturale e la lunga lotta per uno scettro che in molti hanno spesso sottratto alla Grande Mela, la quale non si è mai arresa all’idea di poter essere superata da qualcun altro, riconquistando con forza e determinazione la sua corona di inimitabile fucina di talenti.
Il modus operandi di Freak Tha Monsta (il quale, oltre a rappare molto bene, fornisce ogni singolo suono del disco), Miggs Son Daddy e WRD Life vive di una rappresentazione più che adeguata di quella chimica menzionata nel titolo, in quanto molte delle strutture liriche fanno affidamento sulla comprovata capacità interattiva di un trio che emana spontaneità quando divide le strofe, modifica l’ordine di apparizione e conduce una performance molto soddisfacente nella metrica, ben coniugando le piccole ma concrete differenze stilistiche di ciascuno dei protagonisti. Il metodo espositivo è pulito, chiarissimo nell’enunciazione, le similitudini azzeccate e le rime talvolta astratte – giusto per tenere alta la concentrazione dell’ascoltatore – propongono una realtà certamente circoscritta entro determinati confini, però autoritaria, atta al confronto a muso duro senza la benché minima necessità di offendere esplicitamente. “Clock The Chemistry” è un disco che fila via in maniera liscia, nemmeno c’è bisogno di infarcire la scaletta con collaborazioni pompate o favori da restituire (fa eccezione la rocciosa “Recognize The Real” e Dio solo sa quanto bene stia Planet Asia su un cinematico piano killer in strumentali di stampo east coast), in quanto i tre sono perfettamente in grado di reggere la dozzina di brani affrontando con abilità un esercizio lirico dietro l’altro, sempre su una produzione che racchiude tutta l’intransigenza e l’ostinatezza del sound dei cinque boroughs.
Sin dall’attacco di “Stand Clear”, stesa sul quattro quarti di puro magma accompagnato dall’eleganza del pianoforte, si può tastare con mano la qualità di metriche poste in risalto dall’intercambiabilità nella miriade di assonanze presenti e dal riscontro di diversi termini multisillabici di corta o media estensione, le quali se unite a qualche doppio senso azzeccato e a un coordinamento del flow molto interessante – nonostante non sia vorticoso – creano i presupposti per una piena promozione nel grado della complessità schematica. Freak Tha Monsta ci mette parecchio del suo, plasmando atmosfere poliedriche per quanto siano indiscutibilmente racchiuse nella tipicità: capita quindi d’imbattersi in costruzioni ridotte all’osso che girano su loop assolutamente ghiotti per come ricordano il Muggs di una trentina d’anni fa (vedasi la linea di basso e il taglio ipnotico della deliziosa “New York Gritty”), in pezzi sorretti da campionamenti sinfonici, orchestrali, che alimentano l’istinto competitivo dei testi dando luogo a episodi d’impatto istantaneo (“Modus Operatic”) e in melodie celestiali ove il pizzicare delle corde bilancia opportunamente la ruvidità della sezione ritmica (l’eccellente “Lightwork”).
“Recognize The Real” ha già goduto di menzione ma è bene aggiungere che la valutazione del team certo non difetta se accostata all’enunciato di King Medallions e gli scratch che chiudono la traccia – cortesia di Shy The BeatYoda – sono semplicemente fenomenali; “Taped Up” pesta duramente da ogni punto d’osservazione grazie al sample di piano che mai annoia e i versi che aggiungono ulteriori dosi di stile a quelle già precedentemente rilasciate; “Ichor” incarna la mitologia greca ponendo in metafora il brag Rap più puro; “Cinéma Vérité” chiude i giochi deviando dal filone argomentativo principale e consentendo così l’immersione in un suono malinconico, che fornisce immagini di vita vera all’interno di una pellicola che, a causa dell’età, finisce inevitabilmente per sbiadire poeticamente quanto basta per identificare l’entità del tempo trascorso.
I Four Elements & Beyond colgono in pieno l’obiettivo collocato in premessa, agendo con competenza nell’incapsulare tutto ciò che New York è dal un punto di vista artistico: il loro “Clock The Chemistry” è un disco di indubbio spessore, che risponde positivamente alla più nota equivalenza dell’Hip-Hop grazie alla copiosa abbondanza di rime fighe e beat grassi, il che rende obbligatoria una sosta per gustarne i contenuti e ritrovarsi inevitabilmente gratificati dalla risultanza dello scavo.
Tracklist
Four Elements & Beyond – Clock The Chemistry (2703026 Records DK 2023)
- The Greatest Town
- Stand Clear
- 100 Swordz
- Lightwork
- New York Gritty
- The Life We Lead
- Modus Operatic
- Taped Up
- Recognize The Real [Feat. Planet Asia]
- Different Math
- Ichor
- Cinéma Vérité
Beatz
All tracks produced by Freak Tha Monsta
Scratch
All scratches by Shy The BeatYoda
Mistadave
Ultimi post di Mistadave (vedi tutti)
- Apollo Brown and Crimeapple – This, Is Not That - 7 Febbraio 2025
- Intervista a Brother Ali (29/01/2025) - 4 Febbraio 2025
- Intervista a Brother Ali (29/01/2025) - 4 Febbraio 2025