DMX – Exodus

Voto: 3 + +

DMX – all’anagrafe Earl Simmons – si è spento improvvisamente, a soli cinquant’anni, agli inizi dello scorso aprile. Nei suoi ultimi mesi di vita, senza avere alcuna consapevolezza che tali potessero essere, ha lavorato a un nuovo album; il primo dopo quasi un decennio trascorso senza proferire ringhio. E vale la pena soffermarsi un secondo, perché è una di quelle occasioni in cui è fondamentale ricalcare con la punta del pennarello nero i contorni: nuovo album, non ultimo. Exodus si è suo malgrado ritrovato costretto, gravato dall’ineluttabile pressione degli eventi, a fare le veci del testamento artistico del rapper di Yonkers, senza essere stato concepito con questo scopo. E ora, con la stessa franchezza, occorre dare una risposta sincera a quell’inevitabile domanda che, sin dal primo ascolto, si sarà insinuata nei pensieri di molti: se ne sarebbe parlato sfoderando i medesimi toni (o: se ne sarebbe parlato del tutto?) se DMX fosse stato ancora tra noi?

Swizz Beatz, che ha preso in carico l’intera gestazione di “Exodus” sia dietro le macchine (il suo sequencer è rimasto senza corrente nei circuiti solo nella conclusiva Prayer) che alle spalle della scrivania, ne ha fatta una questione di cuore – comprensibilmente. A colpi di interviste ha voluto rassicurare sul fatto che tutto ciò che avremmo ascoltato recava il sigillo in ceralacca con l’acronimo del Dark Man X in persona (con la sola eccezione di una strofa ospite rimpiazzata, perché nel frattempo già pubblicata, in Money Money Money). E con queste sue parole, indubbiamente sincere, la sensazione è che Swizz abbia voluto al contempo alleggerire la pressione che il trapasso del rapper – unita all’impazienza di dare il tutto alle stampe prima che le lacrime si fossero completamente asciugate – aveva generato sull’uscita del disco.

Niente featuring posticci, quindi, o riflessi di nastro adesivo visibili in controluce. Di fatto, “Exodus” è postumo solo in termini di data di pubblicazione. L’impressione, tuttavia, è altresì quella di un’opera che ancora non era del tutto pronta per incontrare i suoi ascoltatori. E’ vero che non erano poi rimaste chissà quali possibilità sul tavolo: ci mettiamo mano noi, adulterandolo in parte, o lo preserviamo seguendo le sue ultime indicazioni? Difficile, a caldo, prendere una decisione. La proverbiale coperta corta: impossibile salvare tutto e tutti dal freddo. E ciò nonostante “Exodus” sia per molti versi, con i suoi limiti e le sue imperfezioni, quanto di più vicino ci sia a quel che i fan del Ruff Ryder originale aspettavano dai tempi di “Grand Champ”.

Tempi lontani. L’Hip-Hop, lo sappiamo, ha una tendenza quasi romantica (e il più delle volte al contempo masochistica) nel volersi coccolare con la nostalgia; nonostante questa condivida spesso lo stesso sindacato della vita di cui andavano cantando in gioventù Nas e AZ. Di quei giorni a DMX era rimasto il tormento interiore, quello che da sempre gli si leggeva al di là degli occhi, ora molto più stanchi. Quello di un padre che ha affidato a una toccante Letter To My Son l’ultimo tentativo di chiarirsi con uno dei suoi figli. E così ha aggiunto un tassello, che vale la pena di ascoltare, alla sua storia. Tutto il resto non stravolge la narrazione più di tanto. Bath Salts è massiccia quanto basta per favorire il rilascio di adrenalina e farci incastrare un paio di dischi in più al bilanciere, peccato l’abbiano tenuta in un cassetto per quasi dieci anni; Hood Blues tradisce sul più bello, col titolare protagonista di una prova opaca e oscurato dalla vitalità del trio Griselda; e Skyscrapers…beh, è quel genere di wallpaper music, pronipote mollaccione di “Walk This Way”, che invita a considerare l’utilizzo degli anticoncezionali anche nel campo del Crossover musicale.

Senza addentrarci oltre, oramai lo avrete capito, “Exodus” non è un capolavoro. Ma non è neppure un album da buttare. E’ il lavoro di un uomo di cinquant’anni che è stato a lungo lontano dal game e che, dopo una lunga risalita, voleva rientrarci, per sé e per il suo ancora numeroso seguito. Purtroppo non ha ricevuto un aiuto sincero da parte dei suoi colleghi ancora in vita, che al contrario – in preda a una sorta di sindrome da hype man, che dal fare i comprimari sul palco durante la golden age si sono evoluti ora a fare le cheerleader sui social – si sono prodigati nel pronunciare lodi sperticate, facendolo passare come l’ennesimo classico. E questo, oltre a essere una presa per il culo nei confronti di tutti noi, è pure – e ben più gravemente – uno sfregio alla vera eredità che DMX ci ha lasciato.

Tracklist

DMX – Exodus (Def Jam Recordings 2021)

  1. That’s My Dog [Feat. The Lox and Swizz Beatz]
  2. Bath Salts [Feat. Jay-Z and Nas]
  3. Dogs Out [Feat. Lil Wayne and Swizz Beatz]
  4. Money Money Money [Feat. Moneybagg Yo]
  5. Hold Me Down [Feat. Alicia Keys]
  6. Skyscrapers [Feat. Bono]
  7. Stick Up Skit [Feat. Cross, Infrared and Icepick]
  8. Hood Blues [Feat. Westside Gunn, Benny The Butcher and Conway The Machine]
  9. Take Control [Feat. Snoop Dogg]
  10. Walking In The Rain [Feat. Nas, Exodus Simmons and Mr. Porter]
  11. Exodus Skit
  12. Letter To My Son (Call Your Father) [Feat. Usher and Brian King Joseph]
  13. Prayer

Beatz

  • Swizz Beatz and AraabMuzik: 1, 3
  • Swizz Beatz and Prime Maximus: 2
  • Swizz Beatz: 4, 5, 7
  • Swizz Beatz, Musicman Ty and Jerry Duplessis with the co-production by Arden Altino: 6
  • Swizz Beatz and Avenue Beatz: 8
  • Mr. Porter with the co-production by Swizz Beatz: 9
  • Mr. Porter with the co-production by Swizz Beatz and the additional production by Shroom: 10
  • Swizz Beatz and Musicman Ty: 12
  • Kanye West with the co-production by BoogzDaBeast and Fonzworth Bentley: 13
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