Crimeapple – Viridi Panem

Voto: 4 +

La vita quotidiana abbonda purtroppo di esempi negativi. Il lavorare sodo per emergere è un concetto che si sta sempre più allontanando dalla realtà, con particolare riferimento verso un’industria musicale il cui tasso di plastificazione cresce con preoccupante costanza in un ambito dove la sostanza è sempre più schiacciata dall’esigenza estetica. Vi sono tuttavia artisti che resistono, infischiandosene delle apparenze; sono brutti, sporchi e cattivi, ma possiedono un cuore che pulsa più forte degli altri, soprattutto quando si rievoca quella particolare emozione data dal riuscire a realizzare ciò per il quale si è nati e con cui ci si identifica. Un traguardo che richiede capacità di estraniarsi dalla frustrazione e dalla tentazione di cercare scorciatoie economicamente convenienti, accontentandosi – termine riduttivo e tuttavia realistico – di non possedere il seguito di pubblico che si desidererebbe.

Crimeapple non riempirà mai uno stadio dalla capienza di cinquantamila persone – ed è meglio così; il suo percorso verso lo status di possibile superstar dell’underground è però chiaro e innegabilmente puntato verso l’alto. La sua fitta attività discografica è una limpida testimonianza di tale tenacia, così come inequivocabile è la scelta della strada da percorrere, segnata da una partenza inizialmente priva di certezze nell’approdo ma sostenuta da calore e passione, cercando la conquista di quei sogni che per qualcuno non riguardano affatto una vasta platea adorante, bensì arrivare a realizzare – nel caso specifico – un album con una leggenda vivente come Dj Muggs.

Se “Medallo” è stato il fiore all’occhiello di un’annata particolarmente lusinghiera per il Nostro, “Viridi Panem” ne è il colpo di grazia, giunto giusto in chiusura del 2019 per ricordare che il nome di Crimeapple deve occupare una pagina consistente in quella sezione del taccuino ove risiedono gli elenchi degli emergenti destinati a produrre una significativa quantità di rumore. Per queste sette tracce – l’ottava è una breve intro strumentale con dialoghi campionati – si torna presso uno degli amici di sempre, Buck Dudley, autore dell’imprinting sonoro dei primi EP del rappper, a dimostrazione del fatto che farsi produrre dal sig. Muggerud non significa montarsi la testa, ma è una semplice attestazione di merito e riconoscimento giunto da una figura autorevole. Una certificazione della qualità del lavoro svolto finora.

Sarebbe troppo facile cadere nel tranello: la figura robusta, barbuta, di pelle bianca e con estrema facilità di spitting che ricorda Action Bronson e le tematiche molto simili verso chi l’ultima decade l’ha segnata con l’inchiostro indelebile – sempre grazie, Marci – possono facilmente trarre in inganno; ma, seriamente, fermiamoci qui, perché altrimenti dovremmo andare a conteggiare la mandria di mc’s ispirati da Kool G. Rap e non finiremmo più di disquisirne. “Viridi Panem” – elegante espressione latina che si presta a sostituire il green bread per sostenere il concept del disco – vive infatti di un’essenziale componente dettata dal legame dell’artista con l’eredità colombiana, generando spontaneamente il cartello, il narcotraffico, gli scenari caldi e appiccicosi, nonché la fuga da quella miseria che si traduce in abbondanza di beni materiali, donne e raffinatezze, così come dalla morte prematura. Tematiche per le quali la nebbiosa produzione di Dudley dipinge un fondale prettamente combaciante.

Come sempre, in questi casi la differenza è data dalla competenza tecnica e dalla fantasia lirica, settori nei quali Crimeapple certo non difetta. Laddove i beat lasciano volutamente fuori la sezione ritmica, il rapper inscena lo stesso gioco del gatto col topo mostrando il suo flow più letale, comprimendo combinazioni di campioni di soprano e organo con sillabe torrenziali che si uniscono sia per assonanza che consonanza, dando vita a una prestazione eccellente anche per dizione e controllo della respirazione (“Phil Spectre”). Le appena citate qualità costituiscono la colonna portante di brani nei quali il pulsare del synth sembra un cuore annerito che coi suoi colpi infligge terrore a ciascuna battuta, ambientazione sinistra nella quale il flow è padroneggiato con la classe di un veterano che naviga senza alcun timore tali oscuri meandri, esibendo quell’Obama smile riconducibile a un immaginario alla “Point Break” evocato dall’illustrazione di copertina ed evidenziando quell’abile commistione tra slang inglese e spagnolo che va a unire parecchie rime caricando di colore il significato dei testi (“Lupos”).

Se fantasia significa riassumere un concetto già trattato con una o due parole, l’obiettivo è qui facilmente raggiunto dalle fluenti rime interne che tessono l’ossatura di passi spettrali – e qui non può non venire a mente l’irripetibile Muggs di “Temple Of Boom” – evocando impliciti paralleli nella produzione di… dolciumi (“Entenmann’s”), come pure da quei “Dead Gringos” che non solo forniscono un ritornello da canticchiare con immediatezza, ma che si accostano al medesimo abbinamento linguistico del titolo del disco, seguendo stavolta un concetto più casereccio tra incastri di rime tanto surreali quanto quella spiacevole sensazione di essersi persi a Silent Hill per via dell’ennesimo beat assolutamente centrato.

Il treno metrico non si ferma mai e soprattutto non butta via niente, linee viziose e opportunamente ricercate si susseguono con costanza (<<still I know the Devil is close like I’m Angel Manfredy>>), esponendo schemi articolati. Più di qualche rima viene poggiata tra la fine di una linea e l’inizio della successiva e si notano pure ambiziose scomposizioni di termini le cui sillabe sono in parte corrispondenti a una parola della barra precedente, prendendone la base per creare una rima interna e il rimanente per ingegnare quella esterna (“Time To Go”). L’offerta non potrebbe tuttavia ritenersi completa senza le argomentazioni in pieno stile mafioso, spazio quindi a un tetro boom bap suddiviso in due parti dove il vorticoso flow genera rime doppie se non multiple, gettando nella mischia calamari dips, Pavarotti e Ducati (“D’Angelo Vickers”). Infine, il classico brano che tratta dell’accecamento provocato dall’estrema bellezza di una donna ora passata a mani rivali ma altrettanto ricche, evidenziandone la scarsa affidabilità (“Alium”).

Gli ingredienti appena descritti erigono “Viridi Panem” a ulteriore e determinante tassello per le solide fondamenta di credibilità artistica che Crimeapple sta costruendo con grande pazienza e dedizione, cominciando finalmente a vedere i primi frutti in un raccolto che ogni anno si fa sempre più sostanzioso, facendo giustizia a quantità e qualità della semina. Uscita dopo uscita, si scopre un pezzo sempre nuovo di questo quadro generale e la figura che si comincia a intravedere indica sempre più che non ci si trova di fronte al solito rapper. Attenzione, quindi.

Tracklist

Crimeapple – Viridi Panem (Fat Beats Records 2019)

  1. Initium
  2. Lupos
  3. Entenmann’s
  4. D’Angelo Vickers
  5. Alium
  6. Phil Spectre
  7. Dead Gringos
  8. Time To Go

Beatz

All tracks produced by Buck Dudley

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