Conway The Machine – From King To A GOD

Voto: 3,5/4 – –

Occhio a dove poggiate i piedi, perché il ghiaccio è un po’ più sottile del solito. Per la prima volta in anni d’ininterrotta attività, in casa Griselda si respira un’insolita aria di compromesso, che pare un crocevia tra una – del tutto comprensibile, ci mancherebbe – necessità di evolvere i contorni della propria arte e il timore che la consueta formula magica possa incepparsi una volta superati i cupi confini di Buffalo. Poteva (e forse doveva) accadere? Certo che sì. E infatti la vera sorpresa, se così vogliamo definirla, non è tanto il passo incerto in sé, quanto il fatto che il primo piede a compierlo sia stato quello di Conway, per distacco il più rozzo e ruvido della scuderia.

Proprio questa sua natura, il fatto di essere un rapper così spigoloso da qualsiasi angolazione lo si osservi, l’ha sempre fatto percepire come una figura difficilmente assimilabile tra i tasselli del puzzle dell’Hip-Hop che va per la maggiore nell’attuale contesto storico. Il Demond Price che ci presenta la sua transizione artistica in From King To A GOD sembra invece avere (in parte) soffocato il puzzo delle esalazioni del Pyrex che ribolliva sui fornelli con una massiccia dose di Sauvage di Dior. In che senso? Be’, se da un lato l’aerodinamica delle sue corde vocali resta abrasiva come da tradizione – come se avesse ancora le schegge di piombo piantate in bocca – dall’altro alcune delle tele selezionate per accoglierne gli inchiostri hanno vertici un filo troppo arrotondati. E questo lo si legge un po’ come un eccesso di prudenza, a tutela di chi non ha sviluppato calli sufficientemente resistenti nei propri padiglioni auricolari, quindi poco abituati al passaggio dei macigni che invece abbondano nel sottosuolo. Ma forse facendo qualche esempio concreto riesco a spiegarmi meglio.

Prendiamo Fear Of God, che posizionata in cima alla scaletta funge idealmente da tirante del ponte tra la dimensione Griselda e il resto del mondo: niente da dire su Conway, che libera trentadue barre rivestite in teflon senza mai ricaricare, la scena del crimine risulta tuttavia eccessivamente linda e scintillante. Non a caso, a seguire troviamo subito Lemon, che bilancia in acidità il retrogusto dolciastro lasciato dalle tastiere di Hit-Boy e dalla voce di Dej Loaf. Daringer e Beat Butcha sintetizzano un distillato di pura cattiveria e lo servono a Conway e Method Man, che non ne sprecano una sola goccia. E, anzi, invito tutti a fermarsi un istante per ammirare il pennino adamantino di Mr. Tical (<<ain’t gotta tell you I’m dope, just stick the needle in>>): tra pochi mesi soffierà su mezzo secolo di candeline, ma lui evidentemente non lo sa. Inossidabile!

Quando si viaggia su questi ritmi, “From King To A GOD” regala soddisfazioni e induce smorfie di disgusto fino all’emispasmo facciale. In Juvenile Hell troviamo un perfetto esempio di catalizzatore del fomento: Havoc dirige i lavori, lasciando nell’asfalto buchi degni di Daniel Arsham e obbligando i sismografi a replicare la calligrafia tipica degli scossoni che si registrano nei dintorni del Queensbridge, concedendosi anche un paio di giri in compagnia del padrone di casa (<<on the yard, get your jaw poked, as far as the bars wrote/not only did I raise the bar, the bar broke>>), Flee Lord e Lloyd Banks. Ma la vera chicca, griseldiana al 101%, è il limbo ipnotico di Spurs 3 che Beat Butcha sembra aver tradotto in musica rubando i grigi da un’incisione di Gustave Doré. Difficile descriverlo a parole, ma sopra c’è la famiglia al gran completo ed è uno dei punti più alti in assoluto. E non faccio riferimento al disco, ma all’intero catalogo del cartello.

Se non fosse per il ghiaccio pericolante qua e là – penso in particolare ad Anza (quanto prima disquisiremo anche di Armani Caesar), a quella Forever Droppin Tears cucinata senza grassi da Erick Sermon e Rockwilder o, ancora, a Jesus Khrysis, che proprio non ci azzecca – che, puntualmente, riesce a spezzare la tensione sul più bello, nessuno avrebbe potuto negare a “From King To A GOD” le sue quattro stelle piene (e pure qualcosina in più). Un Dio, come asserisce lo stesso Conway, non commetterà forse errori… Ma non dovrebbe nemmeno eccedere nello scendere a compromessi.

Tracklist

Conway The Machine – From King To A GOD (Griselda Records/Drumwork Music Group 2020)

  1. From King… (Intro)
  2. Fear Of God [Feat. Dej Loaf]
  3. Lemon [Feat. Method Man]
  4. Dough & Damani
  5. Juvenile Hell [Feat. Flee Lord, Havoc and Lloyd Banks]
  6. Words From Shay (Interlude)
  7. Front Lines
  8. Anza [Feat. Armani Caesar]
  9. Seen Everything But Jesus [Feat. Freddie Gibbs]
  10. Words From Shay (Interlude 2)
  11. Spurs 3 [Feat. Westside Gunn and Benny The Butcher]
  12. Forever Droppin Tears [Feat. ElCamino]
  13. Jesus Khrysis (Bonus Track)
  14. Nothin Less (Bonus Track)

Beatz

  • Daringer: 1
  • Hit-Boy: 2
  • Daringer and Beat Butcha: 3
  • The Alchemist and Daringer: 4
  • Havoc: 5
  • Beat Butcha and Signalflow Music: 7
  • Murda Beatz: 8
  • Beat Butcha: 9, 11
  • Erick Sermon and Rockwilder: 12
  • Khrysis: 13
  • Dj Premier: 14
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