Comptons Most Wanted – It’s A Compton Thang
La violenta realtà di Compton è inequivocabilmente salita agli onori della cronaca grazie agli N.W.A., seminali nell’estendere la crudezza di quelle strade al cospetto dell’intera nazione statunitense con lo stesso livello di detonazione di una bomba atomica che avrebbe presto investito anche il mondo intero. Quel gran polverone aveva collocato in rilievo una scena in grande fermento, una west coast che stava tentando di farsi udire a gran voce creandosi un’identità distinguibile dalla realtà patriarcale newyorkese, dando origine a un coraggio espressivo che si sarebbe presto tramutato in un vero e proprio movimento culturale del quale il Rap odierno porta ancora i segni distintivi grazie alla larga eredità lasciata dal G-Funk.
In quel quadro specifico, con “The Chronic” ancora lontano all’orizzonte e le schematiche che rimanevano quasi esclusivamente fissate sull’estrazione dei campioni dal Funk, i legami che gravitavano attorno ai Comptons Most Wanted rappresentavano una sintesi essenziale e completa di quanto si stava muovendo nei dintorni di Los Angeles negli anni ottanta. Tante delle origini reperibili nella formazione del Rap californiano giungono difatti dalla figura pionieristica di Alonzo Williams, produttore, promoter e performer responsabile della costituzione dei World Class Wreckin’ Cru, collettivo che annoverava tra i suoi ranghi i futuri N.W.A. Dr. Dre e Dj Yella, più un personaggio chiave della locale scena Electro come The Unknown Dj. Proprio quest’ultimo, mentre si trovava a Compton in qualche momento del 1987, aveva sentito dei nastri registrati da due giovani affiliati alle gang locali che si esibivano sotto i nomi di MC Eiht e Tha Chill, poi scritturati e finiti sotto le attente cure di Dj Slip, uno dei più fidati collaboratori di Unknown, assieme al quale aveva condiviso l’obiettivo di sviluppare il talento di questa promettente coppia di mc’s cui si sarebbe presto aggiunto Dj Mike T ai piatti, sostituendo in corsa quel Dj Ant Capone che invece appariva nella copertina ufficiale del lavoro.
Per quanto lo si volesse far passare come tale attraverso il semplice accostamento al luogo di provenienza dei rapper, “It’s A Compton Thang” non è un album confinabile negli stretti confini gangsta. Eiht e Chill, che proprio durante le registrazioni di questo disco avrebbe subito il primo di due arresti fatali per il prosieguo del suo percorso artistico, arrivando poi a estromettersi dal futuro successo del gruppo, trascorrono infatti la maggior parte degli undici brani qui proposti nell’esercizio più classico del Rap, sposandone in toto lo stile confrontazionale allora in voga, cercando né più né meno di dimostrare di essere più bravi di chiunque altro sopra un palco con un microfono in mano. Certo, non mancavano i riferimenti alle gang e spiccavano elementi puramente attinenti all’osservazione quotidiana dei movimenti del quartiere, ma la fama di cronista successivamente acquisita da Eiht era in formazione, non certo definita. Inoltre, quella provenienza condivisa con gli N.W.A. aveva dato luogo a presunzioni non del tutto corrette.
Infatti, passaggi come “This Is Compton”, classico ricavato da un ottimo taglia-e-cuci operato su una delle tante incursioni di Lee Dorsey qui reperibili, rappresentano semplicemente le mire di due ragazzi che si descrivono e sentono fortemente le loro radici per quanto attorniate dalla violenza, ponendosi come se la pericolosità di ciò li allocasse su un piano di forza mentale superiore dato dalla capacità di restare illesi all’interno di quel contesto, ma senza dimenticare di coltivare un leale e marcato senso di appartenenza. E’ esattamente lo spirito con cui si svolgono i resoconti delle lunghe notti trascorse via da casa, opportunamente riassunte dal timbro R’n’B di “Late Nite Hype”, rappata in maniera molto morbida racchiudendo nelle strofe cenni di giri in auto con la canna a portata di mano, ragazze a cui dare la caccia e persino una sparatoria durante una sosta per fare benzina.
Al di là di ciò, il pedale competitivo viene premuto al massimo ogni volta che se ne ha voglia. A tale verve corrispondono artefatti quasi primordiali come “Rhymes Too Funky Pt. 1”, realizzata già due anni prima della pubblicazione dell’album e opportunamente sottotitolata Live At Lonzo’s marcando la connessione con quella scena originata da Williams, un pezzo molto grezzo per resa di suoni e voci, che sembrano provenire da una session improvvisata nel piano interrato di un’abitazione e registrata in una botta unica. C’è tutta l’essenza di quella prima manifestazione dei CMW, sicuri pur nel loro essere acerbi quando si tratta di snocciolare quelle generose quantità di rime interne assonanti che avevano precedentemente catturato l’attenzione di Unknown (<<boy, I smack and rack and pack and stack/to smash all the sucker mc’s in a war like attack>>), offrendo una notevole chimica di squadra.
L’umore è lo stesso applicabile nei confronti di “I’m Wit Dat”, assemblata dal binomio di produttori trasponendo sulle macchine la struttura madre della “Joy” firmata da Isaac Hayes, un brag Rap scagliato contro un’immaginaria critica che vede i due rapper gettare spesso e volentieri il guanto della sfida in risposta a chiunque abbia qualcosa da far osservare riguardo la loro bravura. Nell’esercizio di tale velleità, Eiht se la cava benissimo anche senza l’aiuto del compare, anticipando quello che sarebbe stato il futuro trend del collettivo: “Final Chapter”, che interseca la nota “Payback” di James Brown e l’eleganza del Funk targato J.B.’s quasi come fosse una risposta west a “Strictly Business”, è la quintessenza della sua ostilità verso i non meritevoli di calcare il palco, un pezzo molto ben concepito nella relazione tra quel sample vocale che evoca autoindulgenza e lo sviluppo di tutto il testo, che ne mette in risalto l’abilità nel tessere rime d’alta efficacia e la determinata ambizione nel voler divenire un imprescindibile riferimento per la scena locale (<<ok, I may not be a historical feature/or better yet meant to as a big public speaker/but when I chill in Compton people scream there he goes!/The one who throws, deliver big blows/here to define my name like an era/my serial number is 8, I bring terror>>). La versatilità del rapper è adeguatamente comprovata quando i bpm crescono in “I Give Up Nuthin”, singolare per il campione d’armonica, contesto nel quale Eiht gestisce al meglio flow, dizione, fiato e varietà metrica.
L’indubbia qualità del lavoro svolto dal futuro Comtpon Cyco è altresì attestata dal capolavoro “One Time Gaffled Em Up”, nella quale trovano spazio i primi vagiti del redattore di strada grazie all’abilità nel costruire rime talmente descrittive da formare immagini molto chiare alla mente, evidenziando al contempo tutta la preoccupazione della comunità per i frequenti raid delle forze dell’ordine, alimentando in maniera più pacata quello stesso sentimento di denuncia che gli N.W.A. avevano invece fatto esplodere fragorosamente. E’ il germoglio di un rapper molto ordinato, che non si accontenta di accoppiare le rime a fine barra ma cerca la sua personale evoluzione proponendo uno stile già tutto sommato avanzato, che vede la massima espressione in quella magnifica chiusura che porta lo stesso titolo dell’album, un’esibizione sobria e riflessiva nel suo essere espositiva della propria condizione personale, che riesce a riassumere con grande efficacia quella che sarebbe poi evoluta nella filosofia stilistica del personaggio (<<‘cause to me there is no world outside the C-p-t>>).
Il fatto che ci sia qualcosa che sarebbe stato affinato solo in seguito, come in tanti altri esordi dell’epoca, lo s’intuisce da una ristretta cerchia di episodi. “Duck Sick”, principio ufficiale della guerra on wax contro il concittadino Dj Quik, è un dissing quasi all’acqua di rose se paragonato a una “No Vaseline” qualunque e la questione si sarebbe indurita solo strada facendo. La comunque piacevole “Give It Up”, baciata da quel loop di chitarra ancora mutuato da Dorsey, si perde in un testo troppo volgare e machista, per quanto tale espressione rappresenti correttamente il livello culturale in materia vigente in loco, senza tuttavia riuscire a esprimere il carisma di una “I Ain’t Tha 1” in confronto alla quale sembra un’uscita di due sbarbatelli.
Complessivamente, “It’s A Compton Thang” sfoggia i suoi trentuno anni in maniera egregia, tanto che, qualora se ne possegga una copia, difficilmente questa avrà segni di polvere sopra per via dell’intatta capacità di replay che continua a caratterizzare il primo di una serie di classici che avrebbe ispirato diverse generazioni di artisti, conducendo i Comptons Most Wanted – e in particolare MC Eiht – a divenire un marchio iconico e ben distinto del Rap targato west coast.
Tracklist
Comptons Most Wanted – It’s A Compton Thang (Orpheus Records 1990)
- One Time Gaffled Em Up
- I’m Wit Dat
- Final Chapter
- I Give Up Nuthin
- This Is Compton
- Rhymes Too Funky Pt. 1 (Live At Lonzo’s 1988)
- Duck Sick
- Give It Up
- Late Night Hype
- I Mean Biznez
- It’s A Compton Thang
Beatz
All tracks produced by Dj Slip and The Unknown Dj
Scratch
All scratches by Dj Mike T
Mistadave
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