Che Noir & The Other Guys – No Validation
Rovistando qua e là tra le uscite più recenti alla ricerca di qualcosa di davvero valido da recensire (e, non lo nascondiamo, abbiamo faticato parecchio a trovare qualcosa), constatiamo con piacere che l’ultimo lavoro di Che Noir è tra quelli che colpiscono dritti al centro. L’artista di Buffalo, già conosciuta per il rilevante contributo nel mantenimento dell’altezza dell’asticella del Rap di New York, ha compiuto diversi progressi nel giro di poco tempo, studiando attentamente le sue mosse quale brava imprenditrice quale si è dimostrata essere – non solo nel campo della musica – e riuscendo così a superare momenti molto bui, vicende personali dolorose come la tragica scomparsa del fratello che l’ha segnata in maniera profonda. Marche – così all’anagrafe – ha rischiato di sprofondare psicologicamente ma non si è data per vinta, ha cercato aiuto estraendo una prova di carattere fondamentale, la quale si rispecchia pienamente tra le note di “No Validation“, una dichiarazione d’indipendenza che mira a sottolineare un’emersione giunta per meriti propri, priva di spintarelle e dettata interamente dal frutto di un lavoro intenso e proficuo. Un tema ricorrente, espresso attraverso varie forme, giusto per ricordare che sacrifici e resilienza hanno ancora un valore, da qualche parte.
Non è un disco lungo, i tempi correnti sono quelli che sono e ci si deve adeguare, ma è se non altro apprezzabile il fatto che quanto offerto assieme alla preziosa collaborazione dei The Other Guys sfoci in otto brani di ottima qualità, che poi alla fine è ciò che conta di più. Niente perdite di tempo, intermezzi, tracce che paiono lasciate a metà: la coniugazione tra concretezza lirica e produttiva funge da collante per tutta l’operazione, ogni passo arriva al punto, riesamina, coglie nuovi obiettivi e verifica i traguardi raggiunti con sana umiltà, ragionando su un’esistenza che, nonostante le difficoltà vissute, ha lasciato bei ricordi, ha fatto crescere, fiorire, pur nella consapevolezza di vedersi come un progetto ancora in corso di compimento. Tra le varie componenti della scaletta non c’è nulla che vada a farsi preferire con determinazione, i brani sono tutti molto gradevoli, anzitutto perché Che ha personalità da vendere, grande forza interiore e capacità esecutiva, dato che la decisione di farsi musicalmente coreografare da Isaiah Mensah e Mighty Joe risulta semplicemente impeccabile.
Il duo di Washington D.C., l’altra parte di questa felice equazione, è infatti noto per mettere a punto beat di livello, impresa che riesce compiutamente pure qui grazie all’evidente gusto nella ricerca del sample, alla capacità di allestire loop molto saporiti e batterie al granito, nonché all’utilizzo di più generi da cui trarre ispirazione, con Soul, Funk e Jazz a presenziare in pole position. Un conto, infatti, è prendere la formuletta e metterla sotto la carta carbone per un risultato certo, però ovvio; altro è saper unire destrezza e intuizione per dar vita a ritmiche infettive, cinematiche, umorali, le quali viaggiano di pari passo con la più che esaustiva tecnica esibita dalla rapper. La coppia di produttori – l’aveva già dimostrato con “The Mind Of A Saint – A Soliloquy” di Skyzoo – riesce a entrare nell’animo dell’artista e a trasformare le sue emozioni in musica, creando canovacci intensi e modulabili per come vengono speziati tanto di grezzo quanto di raffinatezza, mescolando idealmente le due peculiarità.
Di stoffa, signori, se ne riconosce con l’imbarazzo della scelta. Basti ascoltare passi brevi ma nettamente incisivi quali l’introduttiva “Incense Burning”, nella quale l’artista spicca direttamente il volo offrendo una performance tecnica impeccabile per dizione e flow, racchiudendo una molteplicità di concetti nel giro di poche barre tenendo fede alla sua personalità diretta e ricca di talento in un racconto di sé, del suo passato e delle proprie ambizioni con facilità irrisoria; davvero non male per una ragazza partita dalla produzione e giunta al microfono solo in seguito, dopo che aveva deciso di non voler ascoltare nessuno sui suoi beat. Quello stile non conosce pause, viaggia a marce assai alte con la metrica intrecciando rime, assonanze, giochi di parole, intelligenti metafore, costruendo il suo personale percorso di redenzione con grinta, lottando con la sensazione di essere arrivata tardi (<<I hit thirty and felt like I was behind compared to my peers>>), come sostiene in quella “Ego Trips” così delicata, introspettiva, vera verso se stessa – soprattutto nel non piegarsi alle avances del mercato – e verso la propensione al pensare molto, lasciando riflessioni su un importante quantitativo di ragionamenti. “Sugar Water”, maestosa nel suo prelevare trombe e campanelli che addensano d’oscurità l’ambiente, è altresì esplicativa di un percorso sofferto, doloroso, a volte va giù dritta (<<childhoods on prison visits, holding hand in pictures>>), altre camuffa astutamente il vero significato della frase (<<wolves can’t compare to a sheep, they playing dress-up>>), virando poi agli affari, alla costruzione del suo piccolo impero e alla realizzazione della personale stabilità familiare.
Non ci piove, dunque, sul fatto che non vi sia alcun bisogno di firme importanti per attestare tale validità, ma già che ci siamo val bene la pena di sfruttare le connessioni giuste da cui nascono una serie di featuring che arricchiscono l’album di varietà, come avvalorato da “Katastwof”, dove la sezione ritmica si fa piccola piccola esaltando la bellezza del sample Soul appositamente ritagliato su misura, avvalendosi del contributo di due assi come il già citato Skyzoo e Ransom, per un terzetto da capogiro metrico. Sky e la sua immaginifica poetica tornano per offrire l’ottimo ritornello di “Dollar Tree”, baciata dall’ennesima intuizione bollente degli Altri Ragazzi, i quali intarsiano corde, campione vocale e batteria grassissima con somma maestria artigiana, chiudendo in bellezza con Von Pea, ennesimo sottovalutato di un elenco pressoché infinito. Senz’altro è più conosciuto 38 Spesh, presente per “Smooth Jazz”, la quale mutua la sua struttura dal citato genere per un duetto che naviga tra la prossima mossa di business e l’essersi fatti da soli con l’esperienza di strada; chitarra e coro celestiale sono invece gli elementi chiave di “Moroccan Mint”, nella quale è stavolta Jae Skeese a offrire passaggi da riavvolgimento assieme alla protagonista; “Susie” chiude infine equilibrando malinconia e senso di sicurezza, Che Noir non ha problemi a mettere Smoke DZA sul sedile posteriore catturando le attenzioni grazie a una visione molto realistica di sé (<<the struggle of chasin’ freedom took half my life/got a aim that can hit a satellite, suffer from takin’ bad advice>>), classica ciliegina su una torta davvero squisita.
Bastano ventidue minuti, tale è la lunghezza del percorso, affinché “No Validation” lasci impressioni nette, tratteggiando la genuinità dell’autrice, la sua evidente destrezza lirica e la capacità di coinvolgimento emotivo, che ha la possibilità di esprimersi tra un beat migliore dell’altro riassumendo con sintesi e talento tutte le peculiarità che un ottimo album di Rap dovrebbe saper proporre. Auguriamo a dischi come questo di non passare troppo sotto il radar, se non altro perché – nonostante l’indiscutibile brevità – resta uno dei migliori ascoltati in quest’anno non sempre ricolmo di soddisfazione.
Tracklist
Che Noir & The Other Guys – No Validation (HiPNOTT Records 2025)
- Incense Burning [Feat. Jack Davey]
- Smooth Jazz [Feat. 38 Spesh]
- Sugar Water
- Moroccan Mint [Feat. Jae Skeese]
- Katastwof [Feat. Ransom and Skyzoo]
- Dollar Tree [Feat. Skyzoo and Von Pea]
- Ego Trips
- Susie [Feat. Smoke DZA]
Beatz
All tracks produced by The Other Guys
Scratch
- Dj Eveready: 7
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