Brother Ali – All The Beauty In This Whole Life

Voto: 4

Se il classe settantasette Ali Newman fosse venuto al mondo trenta o quarant’anni prima, oggi lo ricorderemmo forse come un insolito bluesman dalla pelle chiara e gli occhi rossi. Le sue strofe traboccano infatti di umori e sentimenti che stazionano molto in profondità, esorcizzando la malinconia e le riflessioni più intime attraverso la ricerca costante di una speranza, un indizio positivo, un fascio di luce che indichi al Nostro la possibile direzione da seguire – lo suggerisce anche il refrain di “Own Light”: <<I thank God for healing/you ain’t got to get me lit, I got my own light>>. Fin dal suo primo estratto, “All The Beauty In This Whole Life” conferma dunque i temi principali che da “Rites Of Passages” in avanti hanno alimentato gran parte delle liriche di Brother Ali, ribadendo altresì il rapporto indissolubile che lo lega alla Rhymesayers dell’amico fraterno Slug e il ricorso al proprio beatmaker di fiducia, Ant, tornato in cabina di regia dopo il passaggio di testimone in favore di Jake One per “Mourning In America And Dreaming In Color”.

A cinque anni da quest’ultimo, intervallo insolitamente lungo nella discografia dell’mc (<<I ain’t trying to hide away, I just had to meditate>>), Ali ritrova energie e ispirazioni per inchiostrare altre quindici pagine del suo fitto diario, immergendo l’ascoltatore in un’operazione adulta e spesso introspettiva, che individua nel Rap un’occasione di rivalsa (“Pen To Paper”: <<when I was thirteen I met KRS, he put me on the stage/suggested I read up on Malcolm X, y’all know the rest/…/my mic is a rifle I’m honor bound to fire, my weapon truly/whether they jeer me, cheer me, boo! Salute me or just shoot me>>) e uno strumento attraverso il quale potersi mettere completamente a nudo (le parole e i sottintesi di “Out Of Here” toccano corde parecchio delicate: <<every man before me in my fam died by his own hands/how am I supposed to understand my own role in the plan/when nobody who grows old stands a chance?/What about this mysterious dance/made you cut the cord to the curtain in advance?>>).

Nel mezzo della tracklist non è quindi difficile individuare intere strofe da citare e, ne consegue, passaggi di particolare interesse nell’articolato intreccio che costituisce il lungo racconto (sovente autobiografico) dell’uomo Brother Ali, albino, convertito all’Islam, padre, sensibile alle ingiustizie e ai dolori provati dall’umanità tutta. Superato il convincente uno/due iniziale citato sopra, spiccano soprattutto “Dear Black Son”, esortazione indirizzata al figlio affinché impari a stare al mondo in piena libertà (<<you don’t need permission to exist with the divine/in fact, you don’t need permission from no one including me/you need not do anything but be, just breathe/whatever you dream let it mean you’re free>>), “Uncle Usi Taught Me”, dettagliato resoconto di un viaggio in Iran terminato nel peggiore dei modi possibili (<<now imagine my exhausted embarrassment/got back to America they interrogate me like a terrorist>>), “Pray For Me”, ricordo delle tante difficoltà dovute superare durante l’infanzia per imparare a convivere col proprio aspetto fisico, “Never Learn”, brano che affida alla religione (<<my power comes from the Most High/Lord God of the globe sky/soul vibration is so fly I can walk on water, no lie>>) un messaggio di armonia e di equilibrio interiore, infine “Before They Called You White”, un punto di vista sul razzismo che legge il presente attraverso le prevaricazioni del colonialismo.

E pazienza se l’irruenza giovanile che apprezzavamo in “Champion EP” è andata via via stemperandosi già dall’ottimo “The Undisputed Truth”, scoraggiando quella fetta di ascoltatori che nella retorica (“The Bitten Apple”: <<you watch the porn get savager/box office movies nastier, the TV gettin’ trashier>>), nella spiritualità e in un progetto che all’ego oppone sia cuore che raziocinio trovano un numero eccessivo di potenziali ostacoli. Proprio a loro, tuttavia, conviene ricordare che Brother Ali è un mc con le palle, abile nel maneggiare metriche ricche di enfasi e figure di suono, qualità che nulla tolgono alle sue barre dritte, asciutte e inequivocabili; né si può tralasciare il contributo decisivo di Ant (assistito per i fiati da James King, Michael Birnbryer e Jordan Katz), bravo come di consueto a individuare il registro ideale per accompagnare le emozioni del protagonista, un lavoro di fine composizione che magari rischia di risultare un tantino stucchevole solo nell’eccessivo ricorso ai giri di pianoforte.

<<My lenses started welcoming the guests of tears/and suddenly the world revealed itself crystal clear/colors grew vibrant and the decoration vivid/in that very instant I knew every thing was living/then they released and made their way down my cheek/and here I am at the beginning, starting to seek>> (“All The Beauty In This Whole Life”). L’Hip-Hop, in fondo, è anche questo: un percorso di crescita attraverso il quale imparare a vedere la realtà circostante con occhi nuovi, più consapevoli della bellezza (e della bruttezza) che ci circonda.

Tracklist

Brother Ali – All The Beauty In This Whole Life (Rhymesayers Entertainment 2017)

  1. Pen To Paper [Feat. Amir Sulaiman]
  2. Own Light (What Hearts Are For)
  3. Special Effects [Feat. deM atlaS]
  4. Can’t Take That Away
  5. Dear Black Son
  6. We Got This [Feat. Sa-Roc]
  7. Uncle Usi Taught Me
  8. Pray For Me
  9. It Ain’t Easy
  10. Never Learn
  11. Tremble
  12. Before They Called You White
  13. The Bitten Apple [Feat. Idris Philips]
  14. Out Of Here
  15. All The Beauty In This Whole Life

Beatz

All tracks produced by Ant

Scratch

All scratches by Plain Ole Bill