Bishop Nehru – Elevators: Act I & II
Sarò io a sbagliarmi, ma fino a oggi Bishop Nehru ha sempre dato l’impressione di uno che cammina tanto senza arrivare mai da nessuna parte. Sia chiaro, non si tratta di un attacco diretto alle sue (innegabili) capacità, quanto piuttosto della volontà di mettere in evidenza il grande limite di un (ricchissimo, se consideriamo l’età) catalogo personale in cui mezzi passi e mete mancate sembrano ripetersi con inquietante costanza. E ciò al netto di evidenti miglioramenti personali, catalizzati da pratica e ormoni (la voce oggi risulta più ruvida rispetto al passato, graffiando a dovere le pareti dei beat).
A distanza di oltre tre anni da un lavoro di diploma che – pur non ottenendo alcuna lode – ha fatto girare diverse teste, il giovane rapper di Nanuet ha riallacciato i contatti col suo vecchio relatore di tesi e, al contempo, sottoscritto un nuovo sodalizio col produttore canadese Kaytranada; distribuendo equamente fra i due la responsabilità di unire i puntini attorno alle sue parole. Due anime che utilizzano spesso lo stesso pigmento primario – il Jazz – ottenendo però colorazioni diametralmente opposte, che tratteggiano il concept dell’album molto più di quanto non facciano le strofe del giovane virtuoso, che in fase di scrittura fatica ancora a dosare il peso dell’inchiostro che sgorga dal suo pennino. Ne risultano brani come “Driftin”: impeccabile nella forma, con quel flauto incantato e un flow agile che si fissa a cerniera al beat, senza però far strabuzzare gli occhi a nessuno in quanto a profondità tematica. Resta comunque un gioiellino da ascoltare, ma con tanto potenziale a bilancio…è quasi un’occasione mancata.
Con “No Idea” si sale invece di qualche piano. Kaytranada salta nella macchina del tempo; torna indietro di una trentina d’anni per recuperare qualche vecchio DAT dal pavimento dei Battery Studios; vola diretto nel 2050 per mettere assieme il tutto e poi lo offre a un Bishop in trance agonistica (<<I played mental Tekken so all of this is a blessin’/I was lost on the road and finally found a direction/fuck with anybody, think I’m lovin’ the progression/still they say I’m immature like a bored freshman/they got no idea that I was really destined>>). Anche “Game Of Life” e “Up Up & Away” rientrano nel novero delle promosse, mentre “Getaway” stravolge un po’ troppo l’ambientazione, mettendo in scena (con tanto di minutaggio in scaletta più elevato del disco) un uptempo che per qualche minuto vi farà credere di aver sbagliato piano.
Come detto, nell’attesa che la penna si faccia più erudita la specialità di casa rimane quella di fare i giochi di prestigio quando tocca allineare le sillabe con lo spartito. Quanti più appigli il ragazzo trova, tanto migliorano le sue evoluzioni verbali; non sorprende, quindi, che con l’entrata in gioco di Metalface – e la sua tradizionale aggiunta a piacere di sample nel pentolone – il valore assoluto del Rap di Nehru tenda a un ulteriore arrotondamento verso l’alto. Prendete “Potassium”: un beat da impacchi caldi alla cervicale, diretto da un set di batterie che picchiano come schiaffoni a mano aperta, e una prova al microfono al quarzo di Bishop che si salda all’onda sonora, stritolandola tra incastri e rime interne.
“Again And Again” combina invece giocate tecniche di alto livello a troppe barre a basso potere d’arresto (<<‘cause like doctors with anorexia, my patience is thin>>), spesso strutturate sfruttando similitudini che non è eccessivo definire stiracchiate (<<like Jaden, ain’t no way they gonna picket it>>). Un peccato considerato l’ottimo lavoro alle macchine di DOOM, il quale nella prima metà del brano cucina a fuoco lento un vecchio campione dei Nucleus prima di alzare la temperatura e spalancare l’antina della credenza in cui tiene riposte le sue miracolose spezie: un finale per stomaci forti. E, parlando di finali, c’è il Jazz fumoso di “Rooftops”, che accompagna il calare del sipario su una performance di Nehru in cui esecuzione e contenuto finalmente si bilanciano (<<I move wild but aware since a child I knew I would be here/I said it loud, still nobody would hear/but if a tree falls in the forest and you ain’t near/does it still make a sound or will sound disappear?/Huh? Exactly, just as I expected/knew if I kept droppin’ they’d hear it at any second>>). Non credo fosse proprio questo l’intento del concept di “Elevators: Act I And II”, ma si tratta comunque di uno di quei gol segnati nei minuti di recupero che – anche se non hai giocato al massimo per tutti i novanta minuti (trenta in questo caso) – alla fine ti fanno vincere la partita.
Dopo anni trascorsi a girovagare a vuoto, Bishop Nehru sembra aver finalmente trovato una direzione da seguire e (soprattutto) una meta da raggiungere. Per uno che vuol riportare in alto la tradizione, tuttavia, la sua penna non punge ancora a sufficienza, specie quando si è chiamati a dover mostrare i muscoli. Il ragazzo vola come una farfalla, ma troppo spesso colpisce allo stesso modo; a poco serve muoversi agilmente sul ring se poi non si è mai in grado di assestare un pugno: in questo modo nel Rap – metaforicamente parlando – si soccombe. Serve giusto qualche ora di palestra in più, allora; e a quel punto raggiungere l’attico sarà una pura formalità.
Tracklist
Bishop Nehru – Elevators: Act I And II (Nehruvia LLC 2018)
- Act I: Ascension
- Driftin’
- No Idea
- Game Of Life
- Getaway
- Up Up & Away [Feat. Lion Babe]
- Act II: Free Falling
- Taserz
- Again And Again
- Potassium
- Rollercoasting
- Rooftops
Beatz
- Kaytranada: 1, 2, 3, 4, 5, 6
- MF Doom: 7, 8, 9, 10, 11, 12
li9uidsnake
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