billy woods and Kenny Segal – Maps

Voto: 4 – –

Circa una ventina di anni fa, finendo così col ricordarvi che non siamo degli appassionati dell’ultima ora, nei nostri ascolti quotidiani c’erano – oltre a tanti classici – tonnellate di Def Jux e Anticon (soprattutto la prima, nel caso del sottoscritto); non è semplice dire in che misura l’odierna scena Hip-Hop underground sia figlia di quelle e di altre realtà loro affini, considerato altresì che a mutare in maniera radicale sia stato il mercato musicale nel suo complesso, certo è che tra i pochi ad averne raccolto il testimone figuri billy woods. Perché tra i suoi mentori ha un ruolo di spicco Vordul Mega(llah), ospite ricorrente nel suo esordio solista del 2003 (“Camouflage”, uscita che inaugurava il marchio Backwoodz Studioz), e perché il suo percorso artistico attinge a piene mani da quello spirito, rifiutando qualsiasi compromesso e non preoccupandosi mai di semplificare uno stile che, con pari fermezza nelle prove in gruppo (Super Chron Flight Brothers, Armand Hammer), scavalca a piè pari mode e cliché.

A ciò si aggiunga una prolificità che conduce appunto a “Maps”, secondo lavoro in coppia con Kenny Segal – a sua volta figura atipica nell’ambito del beatmaking – a quattro anni dal valido “Hiding Places”. Si tratta, lo diciamo subito, di un’operazione in continuità al lungo elenco di pubblicazioni che l’mc nato a Washington, cresciuto in Zimbabwe e poi stabilitosi a New York negli anni novanta (biografia di per sé meritevole di approfondimento) foraggia in antitesi a qualsiasi strategia di marketing: negli oltre venti titoli ufficiali in carriera, billy ha letto con frequenza la storia moderna e quella passata attraverso un flusso lirico verboso, martellante, fitto di immagini articolate – tant’è che in “Aethiopes” ci faceva pensare a Bigg Jus. Di ruffiano, di accomodante, non c’è niente; neppure, dato il volto sempre pixellato o coperto, un sorriso in camera. Inclinazione cui il suo produttore (natio del Maryland, attivo in California) si adatta senza difficoltà: tra omaggi alla old school, composizioni minimali e passaggi di puro astrattismo, con una manciata di contributi esterni per tastiere, chitarre e fiati, la componente melodica è accogliente quanto un cartello che riporti la dicitura at your own risk.

Battute a parte, l’esperienza è volutamente impegnativa; tanto per la scarsa immediatezza delle liriche (<<if it’s gon’ get gentrified, I’m not trying to leave it empty-handed/blue-eyed white walkers in King’s Landing/the way I’m running, should be kissing babies and glad-handing/I’m running routes, trees and patterns/I’m walking in the streets ‘cause the rats is madness>> – l’introduttivo minutino e mezzo di “Kenwood Speakers”), quanto per i molti riferimenti dei quali a un neofita potrebbe sfuggire il senso (<<I don’t sleep, I hover outside myself, watching my body survive/my shell mechanical/people paralyzed by the lies they tell theyself to make it manageable>>“Hangman”). In generale, il fil rouge dell’album è dato dal viaggio, concreto o metaforico che sia; ovvero può trattarsi dell’esplorazione di uno dei tanti luoghi dove il Nostro dovrà esibirsi (<<I’ma do the damn thing tonight/please be advised, I will not be at soundcheck, not on your life/…/might watch the sunset over your city from a parapet or a park bench/headlamps splash squatter tents on my way to the venue, they wave me in>>“Soundcheck”), come di un momento di pura nostalgia, di raccoglimento interiore, ricavato durante l’ennesima tappa del tour (<<I’m smokin’ alone in a cardigan/thinkin’ of home>>“FaceTime”, estratto quale primo singolo).

Approccio di fronte al quale non avrebbe senso tentennare: capiremmo chi, scoraggiato da un’atmosfera mesta, sinistra, priva di spicchi di luce, preferisse premere stop e rinunciare; al tempo stesso, riteniamo che su questa cocciuta, enigmatica coerenza billy woods abbia costruito – non mediante artifici – una figura pressoché unica nell’Hip-Hop degli ultimi due decenni. Sia dunque altrettanto chiaro che il Jazz nervoso di “Blue Smoke”, la negatività di “The Layover” (<<already knew the options was lose-lose/baby, that’s nothing new/that just make it easier to choose, it’s up to you/if it’s on your mind, just ask, you don’t need to hunt for clues>>) e le descrizioni alterate di “Houdini” rispondano a una visione, se volete una poetica, di grande efficacia. La quale peraltro sta in piedi anche quando alla voce del protagonista viene affiancata quella degli ospiti in scaletta, con una menzione speciale per gli ShrapKnel (Curly Castro e PremRock) nella tenebrosa “Babylon By Bus”, un Danny Brown che con quel flow lì in “Year Zero” può dire il cazzo che gli pare (<<not for nothin’, I’ma leave with sumthin’/if not, bitch, then it’s good “Will Hunting”/you ain’t gotta worry ‘bout if we coming/niggas slidin’ on you and this ain’t “Cool Runnings”>>) e – a chiudere il cerchio tracciato in apertura – Aesop Rock nell’ottima “Waiting Around”. Ah, ELUCID, sì; però è di casa.

Sarà pure una frase fatta, ma per billy woods ci pare opportuna: prendere o lasciare. Vale per “Maps” come per una discografia la cui qualità, al netto magari di una discreta ridondanza, non ha mai fatto registrare crolli. Dal canto nostro, ancora una volta, il giudizio è positivo e l’invito è di fare un tentativo, laddove non abbiate già verificato e riscontrato un’irrisolvibile avversione.

Tracklist

billy woods and Kenny Segal – Maps (Backwoodz Studioz 2023)

  1. Kenwood Speakers
  2. Soft Landing
  3. Soundcheck [Feat. Quelle Chris]
  4. Rapper Weed
  5. Blue Smoke
  6. Bad Dreams Are Only Dreams
  7. Babylon By Bus [Feat. ShrapKnel]
  8. Year Zero [Feat. Danny Brown]
  9. Hangman
  10. Baby Steps [Feat. ELUCID and Benjamin Booker]
  11. The Layover
  12. FaceTime [Feat. Sam Herring]
  13. Agriculture
  14. Houdini
  15. Waiting Around [Feat. Aesop Rock]
  16. NYC Tapwater
  17. As The Crow Flies [Feat. ELUCID]

Beatz

All tracks produced by Kenny Segal

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