Apollo Brown and Crimeapple – This, Is Not That
Una sagoma scura si aggira per i plumbei meandri del Rap come una bestia affamata e insaziabile, pronta a individuare nuove conquiste senza curarsi di quanto già giace in saccoccia. Crimeapple sa che oggi può fregiarsi di uno status del quale si sono potute effettuare numerose verifiche, tanta è la mole di lavoro offerta in un triennio nel quale la media progettuale ha superato le quattro unità annue, così come resta ben chiaro da dove si giunge, mantenendo quel pizzico di umiltà essenziale per continuare a solcare il terreno con crescente dedizione, senza mai trovare un punto d’arrivo definitivo, ma solo un anello di congiunzione tra un progresso e il successivo.
L’etica è, con pochi dubbi, una delle qualità che meglio contornano la sua ombrosa figura, assieme a una sostanza che il rapper di Hackensack, New Jersey, ha progressivamente sviluppato una volta inquadrato lo specchio argomentativo di riferimento, complice un’ispirazione che trova la sua attinenza nella profondità delle radici colombiane e, di conseguenza, nella spigliatezza del poterne sviscerare aspetti sociali e culturali. Lavoratore instancabile, di quelli che la sera tirano tardi per farsi notare dall’ufficio interrato del grande grattacielo del Rap, Sebastian Vasco non ha certo provato timore nello sporcarsi le mani per delle prospettive migliori, con l’intenzione di collocarsi tra gli interpreti più significativi dell’era in corso, ampliando capacità lessicali non certo comuni.
In tema di collaborazioni, il suo già notevole portfolio – che annovera Muggs quale punta di diamante – si arricchisce grazie ad Apollo Brown, partecipante poco pronosticabile, se non altro per il suo essere poco avvezzo alla produzione di questa particolare tipologia di Hip-Hop, cogliendo dunque una sfida molto stuzzicante nel momento in cui deve plasmare un’estetica confacente a tali qualità liriche: una sinergia coerente, considerata un’attitudine sonora evocativa nella sua malinconica ricerca dell’antica tradizione black, sulla carta certamente congruente alle emozioni espresse da un mc spesso condizionato dalle proprie problematiche con il passato, permeato da quell’innata voglia di rivalsa che ne dettaglia tratti da antieroe, atta a seminare il panico tra chi aveva sottovalutato le sue possibilità di emersione.
La combo funziona anche su prova incisa, magari non agli stessi livelli in cui l’aveva fatta girare il sommo maestro residente nelle alture del cipresso, ma soddisfa comunque un ampio ventaglio di aspettative. Brown offre sezioni ritmiche rallentate, ideali per il possente incedere di una metrica fluente, talvolta colorita dal duplice idioma, complessa nel suo collegare le barre con frasi che connettono al bacio più sillabe, creando un vero piacere uditivo. Un campo sonoro non completamente cucito su misura, a ben vedere, dato che la personalità del produttore tende in parte a marcare il percorso con una certa decisione, facendo tuttavia giustizia a un liricista che, in occasione delle collaborazioni meno vistose, sovente ha dovuto premere l’acceleratore al massimo per compensare il minor impatto delle strumentali.
I più piacevoli momenti di “This, Is Not That” sono infatti distinti da quei passaggi maggiormente efficaci nel variare la struttura generale, lasciando maggior respiro alla minacciosa personalità del rapper. Perciò si tende a collocare un gradino più in alto certezze come “Superstitious” e la sua ipnosi assassina, ricca di espressioni poetiche (<<Sun dancing in the wing of the plane over a cloud>>) nella stessa misura in cui combina le tematiche nelle quali il gringo ha imparato a sguazzare con estrema sicurezza, vale a dire lussuria, indulgenza e violenza intimidatoria, meglio se con sottofondo psicotico. Esiste una precisa consapevolezza della marcia percorsa sinora, creando peraltro un certo stacco dalla concorrenza, si sente la serenità del vivere il sogno, proprio come suggerisce “Wonderful Feelin'”, fotografia di un momento di alta soddisfazione, derivante da anni passati a battere il ferro finché era caldo, adornata da una scrittura attenta e fluente, con una spiccata capacità illustrativa del tema. Il trionfo di archi, il tocco d’arpa e piano, la performance equamente encomiabile di Willie The Kid, inquadrano alla perfezione gli scopi del brano che appartiene al gruppo di assoluta rilevanza.
Apollo dimostra di saper scovare fonti che si sposano al meglio alla controparte vocale, anche se avrebbe forse potuto indulgervi di più. “Mis Amigos” porta con sé quella particolare tragicità sudamericana, impeccabile nell’agglomerarsi ai ricordi di discredito e una crescita non particolarmente felice (<<grew up watching my old man sniff, I was slick, flip the manuscript>>); l’intimità dell’organo e la pesantezza della batteria di “Pitiful” disegnano un’ambientazione collimante alla sofferta descrizione di un rapporto tumultuoso e sfiduciato, una visione torbida e denigratoria, tentando di scacciare il feeling di quello stato d’animo. “My Own Good” è più essenziale, ma si carpisce comunque quell’essenza di grigio lamento così adatta ai pensieri espressi, un metaforico ritorno a casa trionfale, a ricacciare le parole in bocca a chi non ci credeva, carico di quel senso di pericolo così ben espresso dalla fattura sonora. “Know No Better” è perfettamente allineata nel suo trasmettere tensione, la descrizione testuale nel definire i termini dell’ascesa personale è eccellente (<<should have caught malaria, how long I played the jungle>>), ricca di godibili punchline (<<major independent moves, dependent blue, don’t mention dudes/they doin’ feature specials on their socials when the rent is due/really no comparin’ us, they pairin’ up hilarious/my chain make a bitch dizzy like Diddy with the fairy dust>>).
Per quanto Crimeapple esegua l’ennesimo lavoro di fino nel settore lirico, non si riesce sempre a evitare che Brown ricada invece nei soliti cliché: nulla che appesantisca particolarmente l’apprezzamento globale del lavoro, ma la saltuaria metodicità produttiva a volte penalizza l’originalità di alcuni brani. “The Problem”, evocante il clima tropicale e riflessiva delle progredite possibilità economiche, è l’ennesimo sintomo di assemblaggi oramai superati, non certo di un’esecuzione sartoriale intagliata su misura. “Almanacs” offre la solita batteria cicciotta, un piano che sa di già noto e trombe sezionate in automazione, con l’aggravio di un Sonnyjim il cui torpore stona col vigore dell’attore di rilievo. “Coke With Ice” è vuota, Brown gioca la carta drumless per accondiscendere ai gusti del partner, al quale tocca salvare un pezzo reso incolore dall’estrema monotonia del sample. “Mercy” è altresì assai tradizionale (piatti polverosi, chitarra, coro), ma nel complesso rimane un episodio energetico, carismatico, forte di un wordplay accattivante (<<wrist and neck water, that’s Alaskian though>>) e di un’esecuzione al microfono molto carismatica.
Quindi, pur dovendo in parte annotare la poca solerzia di Apollo Brown nel rinnovarsi significativamente, “This, Is Not That” rispecchia ampiamente gli obiettivi prefissati, sfociando in una cooperazione comunque appagante per i fan di ciascuno dei due autori. Crimeapple si è fatto largo a gomitate, ha sfondato porte di opportunità a calci ed è innegabilmente un nome tra i più importanti nel circolo dell’odierno underground, tant’è che – a parere personale – non ha nemmeno più bisogno di cercare connessioni minori per consolidare una discografia già robusta, per quanto a tratti dispersiva, dal momento che i produttori di spicco, quello stile siempre peligroso e deliziosamente mantecato, gli hanno permesso di essere annotato nel taccuino già da tempo, con la certezza che sia in grado di muovere onde assai ragguardevoli.
Tracklist
Apollo Brown and Crimeapple – This, Is Not That (Mello Music Group 2024)
- This, Is Not That
- Mercy
- Superstitious
- Wonderful Feelin’ [Feat. Willie The Kid]
- Know No Better
- The Problem
- Pitiful
- Almanacs [Feat. Sonnyjim]
- Coke With Ice
- My Own Good
- Favoritism
- Mis Amigos
- New Dreams
Beatz
All tracks produced by Apollo Brown
Mistadave
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