Stik Figa – Central Standard Time

Voto: 3,5

Gli Stati Uniti sono noti per essere saldamente ancorati alle loro tradizioni, tanto che pure una Cultura come l’Hip-Hop tiene in parte fede a tale principio. Gli esponenti maggiormente riconosciuti dalla storia giungono difatti dai più grandi poli metropolitani delle due coste, New York e Los Angeles in primis, così come alcune fucine di talenti come Chicago e Atlanta – che si sarebbero sviluppate in seguito attirando un pubblico sempre più vasto – rappresentano un bacino di mercato assai vasto. Ragionando attraverso quest’ottica abbiamo modo di comprendere la fatica sopportata da artisti quali Stik Figa, la cui natia Topeka, rintracciabile sull’atlante in Kansas, non è esattamente il luogo che assoceremmo per primo all’Hip-Hop; non che ci si possa attendere miracoli da una cittadina molto conosciuta per la produzione di tuberi, né aiuta il fatto che, come il buon protagonista suggerisce attraverso le sue liriche, l’ambiente sia tutto sommato retrogrado, bigotto, sovente inchiodato a presunti valori sani e alla propria ruralità, ma soprattutto concettualmente avverso ai cambiamenti, tollerando controvoglia la presenza di persone dotate di pelle più scura della propria.

“Central Standard Time” è un disco molto breve ma nel contempo profondo e trasparente così come lo è il suo autore, uno che per sua stessa ammissione si sente più vicino a Posdnuos che a Tupac e che sta cercando di vivere il sogno della notorietà senza grilli per la testa, trasmettendo una matura coscienza di sé e del fatto che, alle condizioni del mercato odierno, difficilmente ce la potrà fare, un punto di vista molto differente dall’estrema sicurezza nei propri mezzi che l’mc deve trasmettere per definizione. Ma ciò non è un buon motivo per non riprovarci ancora, perché quando l’occasione si ripresenta è sempre necessario massimizzarla mettendo in campo tutte le energie di cui si dispone, cogliendo l’ispirazione nel suo prezioso attimo per trasporla sul nastro registrato.

La scelta d’introdurre l’album con un mini-pezzo come “Pardon The Interruption”, promossa anche tramite un video nonostante la sua breve contenuta, rappresenta una ricerca di attenzioni per nulla spasmodica, ma che non dimentica di marcare la propria presenza. Il concept del brano diventa ancor più efficace se collegato al fatto che l’artista utilizza normalmente quest’ultimo per aprire i propri live, un modo creativo per catturare in contropiede un pubblico attento solo al big di cartello e per proporsi umile ma perfettamente conscio delle proprie possibilità.

Stik Figa racconta se stesso e i propri dintorni in maniera multiforme, sensazioni analizzate sotto differenti prospettive che fungono da colonna portante dei temi dell’album. Una di queste è senza dubbio la malinconica “Holding Back Tears”, legata dai rotondi rullanti misti ad archi che riassumono la tipicità della strumentazione di Apollo Brown, un passo che inquadra molteplici obiettivi con un solo tentativo, rivangando esperienze del passato che ricordano come armi, droga e violenza non siano un affare esclusivamente metropolitano, ragionando sulla propria autostima e relazionando questa alla propria razza (<<ain’t say I’m hood but my neighbors ain’t invite me in/made them uncomfortable I used to wish for lighter skin/I used to hate myself my mind was sick is my defense>>), infine aiutando l’ascoltatore a catturare una raffigurazione personale fondata sulla semplicità e sull’insicurezza tipiche del protagonista, ben cosciente dei passi di maturità rimasti da compiere nonostante non si sia mai abbandonata la strada maestra.

E’ un filo conduttore ripercorso pure in “Oldtown 96”, prodotta assai bene da un Illmind impeccabile nell’entrare nell’umore del pezzo con archi e organo, un brano che rappresenta ciò che l’artista è consapevole di saper fare meglio di tutto il resto, ovvero raccontare ciò che vede o che ha visto, in questo caso coniugando memoria e aspettativa futura rimarcando un presente ancora dannatamente difficile, cercando di facilitare la strada a chi verrà dopo e cancellare quella scomoda posizione priva di privilegi che la propria coscienza auto-impone (<<look, I been black longer than I been my first name/called nigga before a nigga ever learned names/…/silver lining dark clouds when we see the sky/at the bottom looking up trying to see the heights/yea, all I wanted was a piece of mind, a piece, a slice of the pie that America divides>>).

Di Topeka ci viene pure mostrato un assaggio visivo nella clip di “Cold“, il pezzo più sorprendente del lotto perché sulla carta, dalla partecipazione del venerabile L’Orange, ci si attenderebbe un bpm basso e un sample polveroso (a maggior ragione se si riforma temporaneamente l’accoppiata fautrice del capolavoro “The City Under The City“), ecco invece servito un tempo più alto, un loop accattivante e un breve campione vocale pitchato, terreno fertile per permettere a Stik di srotolarvi sopra un flow a fuoco rapido, una necessaria dimostrazione di versatilità in un contesto vocale talvolta statico, mostrando un’abile metrica di particolare efficacia nella seconda strofa, dove il piegamento delle parole permette l’assonanza in ogni barra.

La staticità appena citata può difatti far sfuggire qualche preziosismo tecnico o qualche metafora ben collocata a causa della metodica impostazione della delivery, aspetto che presenta i suoi dazi quando si sceglie di farsi affiancare dall’Elzhi di turno, superiore per fluidità e creatività in “Down Payment”. Fortunatamente, altrove – la divertente “James Lemonade” – si rimedia con un fine senso dell’humour (<<laughing at theses amputee’s saying that they ran the streets>>) e una compagnia più che adatta allo spirito del pezzo, trio composto con un Homeboy Sandman smagliante e un Quelle Chris imperturbabile ma in grado di mollare fendenti letali (<<on Dilla Day you claim the first nigga banging his music/before it was cool, you don’t even Rap/your ghostwriter Rap, and he Rap your raps better than you/you got no style, you say you the future, you sound like now, you sounding like Future>>), chiudendo un quadro all’interno del quale tutti i coinvolti eseguono un notevole lavoro metrico su un beat dal tempo assai impervio.

Va detto che parte della produzione non rende la dovuta giustizia al lavoro lirico. Nel caso di “The Ends & Outs”, creazione di Black Milk, la gradevole linea melodica dello xylofono pare poco allineata alla poca consistenza mostrata dalla sezione ritmica, demoralizzando un tantino il gioco di allitterazioni del testo; “The Heart Wants” suona morbida, ma le servirebbe una maggiore forza per sostenere un timbro vocale poco suadente – nonostante il tema della necessità di comunicazione in un rapporto sentimentale sia molto interessante; infine, la già citata “Down Payment” non brilla per creatività, riducendo l’elaborato di Nottz a qualcosa di troppo semplice e già sentito. L’unico punto non convincente in toto è la conclusiva “The Git Down”, che va presa per ciò che è (l’occasione per ospitare un idolo di gioventù di Stik Figa, ovvero Rappin-4-Tay), episodio in cui ci si accontenta di creare una presunta misticità attorno al personaggio invece che presentare una sostanza qualitativa decente sopra un beat a sua volta poco coinvolgente.

Dopo aver abbondantemente disquisito su “Central Standard Time” non possiamo che consigliarvene l’ascolto, si tratta infatti di un disco che – al di là dei difetti segnalati – ha tanto da regalare in tema d’intelligenza e profondità, senza dimenticare che il suo autore – non potendo fruire di una grande esposizione e fama – merita il vostro passaparola positivo per farsi conoscere da un numero sempre crescente di appassionati.

Tracklist

Stik Figa – Central Standard Time (Mello Music Group 2017)

  1. Pardon The Interruption
  2. Down Payment [Feat. Elzhi]
  3. Oldtown 96 [Feat. Bonzo Madrid]
  4. Cold
  5. James Lemonade [Feat. Homeboy Sandman and Quelle Chris]
  6. The Ends & Outs
  7. The Heart Wants
  8. Holding Back Tears
  9. The Git Down [Feat. Rappin 4-Tay]

Beatz

  • Nottz: 2
  • Illmind: 3
  • L’Orange: 4
  • Quelle Chris: 5
  • Black Milk: 6
  • D/Will: 7
  • Apollo Brown: 8
  • Exile: 9
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