Aceyalone # Accepted Eclectic

In alcune recensioni passate ho già discusso della poliedricità di Aceyalone e, se non lo aveste ancora constato con le vostre orecchie, questo è il momento di ricredervi o di farvi una cultura in merito. La terza fatica musicale del rapper di Los Angeles si presenta come diametralmente opposta alle precedenti e lo fa, qua e là, attraverso toni nettamente divergenti rispetto a ciò che si è soliti aspettarsi da un componente dei Freestyle Fellowship. Se vi dovessi consigliare un album di Ace da ascoltare per primo, questo è sicuramente quello ideale: in parte l'mc abbandona tutti quegli spigoli vivi che caratterizzano lo stile del collettivo losangelino e si adagia su ritmi decisamente più classici, che rinunciano a sperimentazioni tecniche e produttive. "Rappers, Rappers, Rappers" e "Five Feet", prodotte rispettivamente da Evidence e Fat Jack, incanalano "Accepted Eclectic" verso atmosfere semplici e facilmente godibili, prive di strani flow e ricche di boom bap e campioni melodici, ma ciò che davvero sconvolge si presenta alla terza traccia, "Alive"; Joey Chavez (metà del gruppo di producers Sid Roams) sforna, infatti, un beat parecchio hardcore, dal loop scuro che indubbiamente si adatterebbe più a un album dei Mobb Deep o di Kool G Rap, ma che, a conferma della incredibile adattabilità di Eddie Hayes, sembra cavalcata da un veterano del Gangsta Rap, tirando fuori dal cilindro un flow estremamente aggressivo e serrato e, se non fosse la voce a ricordarci l'autore di quel fiume di rime, lasciando persino il dubbio che al mic non ci sia Aceyalone. Evidence, con la traccia successiva, non sposta di un millimetro il tiro e spara una base dal rullante devastante e dal campione perfettamente tagliato che, se possibile, risulta ancora più tetra della precedente, dando la possibilità al rapper di mostrare il suo talento su sonorità inusuali per il suo stile. "I Never Know" e "I Got To Have It Too" si aggirano su atmosfere west coast mentre la titletrack raggiunge l'apoteosi grazie a un beat costituito da una battuta molto accelerata condita da campioni, appunto, eclettici; sembra strano ma l'intera base si struttura su sample perfettamente assemblati di fagotto, campanellini e flauti che appartengono al mondo dei cartoon e al periodo natalizio: bentornati, quindi, nel mondo dei Freestyle Fellowship! "Golden Mic" vede il rapper californiano alle prese con flow supersonico, cassa grassa tipo Reggaeton e rullante leggerissimo, mentre "B-Boy Real McCoy" riporta un clima più teso e underground, intuibile anche dalle liriche, che mantengono comunque una sana dose di ironia: <<All you radio stations play a whole lot of crap, it's like I'm hungry at the table and you feedin' me scraps>>. "Down Right Dirty", "Master Your High" e "Microphones" permettono di respirare una manciata di Rap da strada, senza fronzoli, dai ritmi leggermente duri e, perché no, più vicini alla east coast che alla tradizione californiana. L'album si conclude con un ritorno ai fasti del collettivo noto per la capacità di sperimentare e le tracce rimanenti esalano il ritmo scanzonato e a volte contorto di Aceyalone e soci. Come già accennato, un lavoro fondamentale è stato svolto alle macchine, dove produttori del calibro di Evidence, Fat Jack e Joey Chavez lasciano indubbiamente un'impronta precisa, ma ciò che sorprende, ancora una volta, è l'estrema abilità dell'mc, che, con fare camaleontico, si reinventa sempre su nuove atmosfere senza perdere un minimo di incisività e portando al massimo la qualità del suo Rap.