Intervista a En?gma (28/02/2018)

Roma, ore 21.30: nei giorni scorsi ha nevicato e in città c’è un’atmosfera insolitamente quieta, complice forse un traffico non così intenso e l’improvviso diradarsi di una cappa di smog che tende sempre a virare tutto sul giallo. Raggiungo Marcello (En?gma) e Gabriele (Kaizén) nella hall dell’albergo dove alloggiano e rompiamo subito il ghiaccio parlando della loro Olbia, dove ho vissuto per lavoro nella seconda metà del 2013; la prima domanda non può che nascere appunto da lì…

Bra: rispetto alla scena italiana, indirizzata molto su Milano e dintorni, già da qualche anno hai deciso di tornare nella tua città d’origine. Come mai questa scelta?
En?gma: Milano viene identificata come l’attuale capitale del Rap in Italia, tanto che molti si spostano anche da Roma per raggiungerla; io ci vivevo da quando avevo diciott’anni per studiare all’università, quindi l’ho conosciuta cotta e cruda prima di diventare un artista, ne ho potuto assaporare tutti i lati e questa cosa mi ha aiutato, anche durante il periodo Machete, per confrontarmi con l’ambiente milanese e spiegarlo a chi non c’era mai stato. I tempi però cambiano; succede che a casa tua ritrovi l’ispirazione e il tuo mondo perfetto per creare, succede che con internet hai comunque la possibilità di diffondere le tue cose a prescindere da dove sei, perciò per me è stata una questione di qualità della vita: avevo bisogno di recuperare determinati punti fermi. E mi è servito anche per la scrittura. Avevo bisogno di stare bene, di avere rapporti umani sinceri e ritrovare quelle piccole cose quotidiane che sono tue – per me ad esempio è fondamentale fare sport e quando a Milano spendi ore tra spostamenti e via dicendo capisci che diventa complicato anche fare una partita a calcio. Tra l’altro questa decisione la prendo nel 2012, quindi ancor prima di “Rebus”.

B: quanta Sardegna c’è nella tua musica?
E: secondo me c’è sempre stata molta Sardegna nelle cose che ho fatto, anche perché quelle principali provengono da quel periodo in poi. Artisticamente io nasco prima, ma le cose che grosso modo tutti conoscono le ho scritte lì. Quello che mi piace molto e che in giro tra gli ascoltatori si nota è che nessuno mi accosta a nessuno; io lo associo proprio al fatto che, non essendomi adattato a un ambiente dove tutti – magari per convenienza – stanno assieme, tendendo alla fine a somigliarsi un pochino, a me non succede nulla di simile perché vivo una vita totalmente differente da quella di un rapper che sta a Milano.
B: nel disco, secondo me, questo bisogno di costruire un’identità ben distinta dalle altre emerge.
E: credo anch’io, si riflette sia nelle liriche che nella scelta delle musiche. Conta che Kaizén è su più di metà album, è ad Olbia con me e non viene dall’Hip-Hop, quindi questo ci aiuta a confezionare qualcosa di originale, pur essendo al passo coi tempi.

B:Shardana” viene pubblicato a un anno e mezzo da “Indaco”, intervallo durante il quale di fatto non hai mai smesso di lavorare. Lo senti come un progetto nato da qualche urgenza in particolare?
E: tendenzialmente io ho bisogno di riflettere per fare dei dischi, ma – sarò sincero nel dirlo – ho capito che dovevo anche stare al passo coi ritmi attuali, un po’ più frenetici rispetto a prima. Questa considerazione mi ha spinto a un disco di pancia e a capire che potevo tirare fuori comunque dei contenuti da un istinto primordiale, che non tutti mi riconoscevano, quale la rabbia – sentimento che forse si evinceva poco negli scorsi lavori. Era intrigante anche spingersi al limite e tirare fuori un progetto ufficiale dopo poco più di un anno, facendo scoprire una parte di me non dico inedita ma mai esposta in questi quantitativi, dato che i due terzi del disco sono belli incazzati.

B: nell’album ci sono diversi messaggi lanciati alla scena, o che comunque danno un’idea di quale sia il tuo punto di vista in merito. A livello personale, mi sembra di percepire una sorta di amarezza, di disillusione; è così?
E: è così. Ho visto quello che mi serviva vedere e – sebbene non abbia niente da insegnare a nessuno – ne riporto la mia opinione, permettendomi di farlo anche in maniera aggressiva. In passato l’ho detto in altri dischi: c’è dell’ipocrisia, come in tutti gli ambienti di lavoro, e mi andava di far capire la mia posizione rispetto all’andazzo generale. E ciò vale anche se non sono più a Milano, perché vedo benissimo quale piega stia prendendo la faccenda. Ma, sia chiaro, allo stesso tempo ci sono tanti colleghi da salvare, tant’è che pur avendo ridotto alcuni contatti collaboro lo stesso con chi, evidentemente, prova della stima nei miei confronti, a prescindere dalla mia presenza fisica o meno nella scena.

B: la cosa curiosa di questo discorso è che non sei un purista, un difensore a tutti i costi della vecchia scuola, eppure – vedi “Father & son” – celebri l’importanza delle radici e ti senti <<già vecchio tra ‘sti giovani>>. Tu, da esordiente, su quali figure di riferimento hai potuto contare e cosa ritieni ti sia stato insegnato?
E: citi non a caso “Father & son”, perché Bassi – che magari da adolescente ho ascoltato meno rispetto ad altri – è un modello e un’ispirazione per longevità, serietà e rispetto. Lui ha avuto un comportamento che io ammiro molto perché umano, atteggiamento che riscontravo anche in un Primo Brown, senza dubbio una figura che, se ancora in vita, avrei pressato per far parte di questo progetto, dato che trasmetteva una sincerità fuori dal comune. E poi Tormento, uno di quelli che ho ascoltato proprio tantissimo anche come Yoshi con “Il mondo dell’illusione” e nella sua carriera un po’ più melodica. Loro comunicano qualcosa di positivo, coinvolgimento; parlare con Bassi e capire che lui, a quarantacinque anni, campa una famiglia da questa roba pur non avendo mai fatto dischi d’oro, pur non essendosi atteggiato in una certa maniera, ti indica un modello da seguire. Anzi, ti dirò che in un certo senso il disco d’oro è quello, trovare nella musica la propria strada; poi se viene anche l’altro, ti va di lusso…

B: senza scendere nel dettaglio di decisioni che hai già spiegato, artisticamente parlando l’uscita da un collettivo come Machete ti rende più libero di esprimerti e di sperimentare quando sei alle prese con un nuovo disco?
E: guarda, essendo tra i fondatori di quella realtà non ho mai avuto nessun tipo di vincolo e ho sempre fatto ciò che volevo. “Indaco” e “Shardana” sarebbero quindi tranquillamente potuti uscire per Machete; però mi chiedo se li avrei fatti nello stesso modo. E non lo so, perché certe emozioni non sarebbero state le stesse e non mi avrebbero portato a scrivere determinati brani; forse avrei avuto due dischi intitolati allo stesso modo ma diversi da quelli pubblicati. Di sicuro nessuno mi avrebbe detto questo non può uscire così, essendo tutti capi al 25%. Ma, se ci pensi, a livello musicale potevano stare entrambi dentro Machete Empire Records, anche perché io davo un sapore ulteriormente intrigante all’etichetta nel suo insieme a livello di singole particolarità. Se sono tutt’oggi, a mio modo di vedere, solo me stesso, a maggior ragione avrei potuto dare il mio contributo alla crew, posto che chi è entrato negli ultimi tempi – Axos, Dani Faiv – è super.

B: concedimi una curiosità. Strade separate, ma vi rivedremo mai di nuovo assieme?
E: no. E’ una cosa che ho già detto e la ridico senza problemi: ci sono state delle vicende tra me e gli altri fondatori, quindi escludo collaborazioni con loro e comeback vari, ma mi piacerebbe lavorare ancora con Jack, con Nitro…però capisci che è difficile.

B: chi invece oramai fa coppia fissa con te, è Kaizén. Se non sbaglio sei tornato al tuo primo produttore: quanto è stato semplice (o meno) ritrovare la sintonia di un tempo e quanto vi siete riscoperti differenti, cambiati?
E: Gabriele mi ha aiutato a registrare il mio primo demo, “Anonimi”, e successivamente era presente nel ritornello di “Ode” con Jack (da “Foga”, ndBra), quindi abbiamo fatto l’EP “Random” quando il nome Kaizén racchiudeva in realtà un duo di artisti e infine la collaborazione si è fatta più fitta. Considera però che noi siamo sempre stati amici, parlavamo di musica anche se non facevamo nulla assieme. E’ chiaro che nel frattempo io ho raccolto varie esperienze, coinvolgendolo in quello che era diventato il mio mondo; nel senso che l’ho aiutato ad aprirsi nel beatmaking, dove ha potuto spaziare e si è potuto distinguere maggiormente, perché in “Shardana” c’è un beat come “Father & son”, che strizza l’occhio alla old school, e ci sono anche “La cenerentola del ring” o “Copernico”, dimostrando una chiara ecletticità – e sia chiaro che è soltanto all’inizio…
Kaizén: è così, non c’è mai stata una pausa perché ci siamo sempre confrontati sui lavori sia miei che suoi. “Random” è stato un battezzo e da “Indaco”, oltre all’aspetto musicale, abbiamo gestito assieme anche questioni di tipo manageriale, ci occupiamo a 360° di tutto.
E: ci tengo a sottolineare che ho già sperimentato cosa vuol dire lavorare con degli amici e posso dire che si può fare solo se lo si è davvero. Anche noi abbiamo avuto i nostri problemi, ma siamo andati oltre tutto e alla fine abbiamo raggiunto un equilibrio incredibile: se lo trovi, è fatta. Dentro Machete ero quello – con Salmo – che si occupava meno delle questioni manageriali e di marketing, non sono tagliato per queste cose; lui mi dà una mano fondamentale e in due riusciamo a fare tutto quello che ci serve, imparando tantissime cose.

B: un aspetto che mi ha molto incuriosito, nel percorso che ha portato te e Gabriele da “Random” a “Shardana”, è il costante cambio di sound, nel senso che dalla Dubstep siete passati a un registro più vario con “Indaco” e quindi a soluzioni più sbilanciate verso – se mi concedete la definizione – un Pop d’autore. Siete alla ricerca di un baricentro che non avete ancora individuato o semplicemente non intendete porvi limiti di alcun genere?
E: mi piace proprio la definizione che hai dato, Pop d’autore.
K: anche a me.
E: potrebbe essere una strada percorribile e spero di raggiungerla. A me piace cantare, fare melodia; vorrei arrivare a qualcosa di unico e ulteriormente originale, perciò stiamo lavorando in questa direzione, vorremmo arrivare a un progetto prodotto solo da noi e dove potermi esprimere in maniera del tutto libera, levando determinati canoni. Faccio un esempio: lo standard è sedici barre, ritornello, sedici barre, poi fai “Copernico” con trentadue barre e un ritornello finale, scopri che piace e ti fai delle domande. Una cosa è certa: io non smetterò mai di rappare, ma – l’ho detto anche in altre interviste – sono sicuro che un brano come “Prendi me” (da “Indaco”, ndBra) poteva funzionare anche a Sanremo, per il semplice fatto che è uno storytelling, tratta un tema profondo, d’impatto, e ha una costruzione da canzone, senza però essere una sputtanata. Ecco, io vorrei fare questo: significati, tecnicismi, melodie. Come piace a me.

B: la produzione di “Sobborghi” è la sola di “Shardana” che gestisci singolarmente ed è anche quella più astratta, tanto che non sfigurerebbe neppure come pezzo strumentale. In futuro ti ritroveremo più spesso alle macchine?
E: in “Indaco” c’era “Labirinti”, aggiustata da Marco Zangirolami, idem per “Che roba è?!” con MadMan, dove Kaizén diciamo che dà una rinfrescatina tecnica perché mancava qualcosa nella ritmica della batteria; mi piacciono molto le colonne sonore e “Sobborghi” è un po’ la mia colonna sonora, pensa che all’inizio avrei voluto chiamarla “Sobborghi/Marcello O.S.T.” – ma forse risultava un titolo troppo artefatto. E’ una traccia che definisco come un mio compleanno: faccio quello che voglio, mi piace tanto essere così criptico, astratto appunto, e ci tenevo a mettere dentro “Shardana” qualcosa del genere. Proseguirò quindi a fare beat – in realtà non ho mai smesso e ho già un po’ di cose parcheggiate – nonostante ne faccia pochi, ma il bello è proprio che magari tiro fuori un’idea e Gabriele la assesta meglio o, viceversa, gli propongo dei suoni e lui realizza tutta la strumentale; rientra nel discorso di sopra, provare a fare un progetto che gestiamo solo noi due – mai come prima, infatti, c’è un produttore predominante in un mio disco. Ed è come se le tracce le avessi prodotte io, dato che siamo in totale empatia.

B: parlando invece di Rap, ti sei sempre distinto per la scrittura articolata e l’abbondanza di citazioni. Quanto tempo impieghi per completare un testo e quanto te n’è occorso per chiudere tutte le tracce di “Shardana”?
E: sul disco abbiamo trascorso circa tre mesi. Dopo “Indaco” avevo bisogno di stare un po’ tranquillo, abbiamo fatto un bel tour l’anno scorso e sinceramente avevo voglia di trascorrere un’estate serena, perché quella precedente era stata devastante. Dovevo ricaricare le pile e come sai l’estate in Sardegna è bellissima. Abbiamo fatto tutto molto in fretta ma nel senso che ero pronto a buttarmi anima e corpo su una cosa nuova. Ovviamente i beat li avevo già da molto tempo e avevo deciso cosa dire; prendo appunti, atmosfere, apparecchio tutto e non resta che mettere il cibo in tavola. Il processo di scrittura invece è vario; un pezzo come “Krav maga” non era neppure in programma, vado da Gabriele, sento un beat, gli propongo di aumentare i bpm, torno a casa e il giorno dopo stiamo già registrando dopo aver scritto tutto in una notte e ritrovato cose che magari risalgono a quando ero bambino, perché ero un patito di wrestling e giocavo a “Tekken”, allora ecco che quella voglia di combattere ti fa pensare a Shawn Michaels, Eddy Gordo e tutto un mondo che si ricostruisce da sé. Ma non c’è una regola.

B: a proposito di citazioni, spesso ne dedichi molte al cinema. Quali sono i tre film più importanti della tua vita?
E: uno è sicuramente “Fight Club”, di cui ho scoperto prima il film e poi il libro. “Cinderella Man” per un valore affettivo, perché tutt’ora se lo guardo e penso alla parabola di Braddock, che mi ha ispirato a fare il brano (si riferisce a “La cenerentola del ring”, ndBra) e a volerne anche la colonna sonora di Thomas Newman, mi commuovo; grandi emozioni. Poi…dico “Seven” sempre di Fincher, perché lo guardi oggi dopo oltre vent’anni e ti tiene incollato, ti dà quel senso di trasporto che tanti film dopo un po’ tendono a perdere, invece “Seven” ti fa stare sempre sulla sedia.

B: la cura che riservate alla produzione video immagino attinga proprio da questa passione, considerato che tra i soli “Indaco” e “Shardana” contiamo circa una decina di clip. Ti capita mai di realizzare un pezzo in funzione delle immagini e non viceversa?
E: no. Capita di partecipare alla realizzazione del video o di pensare al soggetto di un certo brano, però il percorso inverso non l’ho mai fatto. Preferisco sempre lasciar fare a chi ne sa più di me, fermo restando che mi piace metterci bocca dato che è roba mia; ma lascio che siano i registi a lavorare, creare e scrivere la sceneggiatura. La mia musica deve incontrare l’aspetto cinematografico proposto da loro.

B: il risultato, ispirati forse dalla particolarità del testo, è una clip come quella di “Copernico”, abbastanza distante dal classico immaginario Hip-Hop. E’ qualcosa che può avvicinarti a un pubblico che non ti conosce o rischia di allontanarti da chi invece è abituato a un certo tipo di linguaggio?
E: credo mi possa avvicinare a chi non mi conosce, dato che il Rap sta diventando molto più…diciamo potabile per tutti. E’ qualcosa in più, non in meno, rispetto a un modo di porsi che spesso non ha niente di nuovo da offrire. I video di “Shardana” sono tutti di Corrado Perria e Paolo Maneglia; Corrado lo conoscevo da tanto e abbiamo collaborato anche ai tempi di Machete, quindi sa cosa cerco e si vede. Sono entrati bene nelle atmosfere del disco e “Copernico” in particolare rappresenta un connubio perfetto tra il brano e le immagini.

B: siete in giro per gli instore e avete già in programma diversi live. Come sta andando e che formazione porterete sul palco?
E: gli instore stanno andando bene, come andarono bene quelli di “Indaco”. Il rapporto con la gente lo ritengo sempre speciale e, facendo l’avvocato del diavolo, ti dirò che magari per me è più semplice, non avendo mille persone ad ogni incontro; però l’umanità viene prima di tutto e ci tengo ad avere un buon rapporto coi fan. Una stretta di mano in più o altri dieci secondi del mio tempo li spendo volentieri con loro. Venendo ai live, saremo sempre io e Kaizén, lui in consolle ma col valore aggiunto che da un lato conosce tutti i miei brani e dall’altro viene dal canto, aiutandomi al microfono per i ritornelli. Un disco così aggressivo non nego che richieda una buona preparazione e quando hai un supporto melodico serio, non improvvisato perché lui canta davvero, diventa tutto più facile.

B: terminata la promozione di “Shardana” ti concederai un po’ di riposo o ci rivediamo tra un anno?
E: diciamo che non posso non far uscire niente anche quest’anno, già nel 2018. Te lo posso assicurare.