Intervista a Go Dugong @ Santeria Social Club – Milano (31/01/2016)

Milano. Scendo dalla 90 in viale Tibaldi* per andare al Better Days Festival cui partecipa anche Go Dugong, che intervisterò a breve. Go è un produttore italiano che ho scoperto grazie a un suo collega (Kavemura, qui trovate la nostra intervista) e la sua musica è, come dire… Visionaria. Quell’Elettronica che ammicca all’Hip-Hop, avete presente? Trovate la recensione di “NOVANTA” qui.

* cazzata, un milanese doc non prende i mezzi pubblici, tantomeno la sera. Però mi sembrava un intro più affascinante e in tema con l’album…

Blema: devo essere onesta, prima di leggere il comunicato stampa non attribuivo il titolo “NOVANTA” alla circolare destra, ma…
Go Dugong: …agli anni ’90.
B: esatto. C’è qualche nesso?
G: sì, sono gli anni nei quali mi sono formato musicalmente, in cui ho approcciato la musica e iniziato con le mie prime produzioni, gli esperimenti. Ho cominciato con l’Hip Hop perché in quel periodo facevo i graffiti ed ero inserito in quel movimento, quello che mi arrivava era quel tipo di musica che mi ha influenzato tantissimo, come si sente dal suono di “NOVANTA”.

B: però, per quanto riguarda la tua produzione musicale, non sei partito dall’Hip Hop ma più dall’Elettronica, no?
G: no, non è vero, io avrei sempre voluto fare beat Hip Hop ma forse non sono tanto capace e alla fine mi vengono fuori altre cose! (ride)

B: per quanto riguarda le produzioni c’è qualcuno cui t’ispiravi all’epoca o che ascolti maggiormente oggi?
G: se ascolto qualcosa di Hip Hop mi piacciono le cose più tecniche, visionarie e sperimentali, quelle che si discostano un po’ dai testi che parlano delle quattro discipline oppure quelli autocelebrativi. Magari mi esaltavano quand’ero ragazzino, ma oggi, a 34 anni, non ho più voglia di ascoltare quella roba lì. Adesso sono più per chi ti racconta una storia e la racconta bene, in modo interessante. Quello che ascolto non è mainstream, a volte sono amici, uno dei quali è anche sul disco, Millelemmi, se no vado a ripescare dagli anni ’90 che è la golden age dell’Hip Hop italiano. Per il resto, ascolto materiale che poi uso nelle mie produzioni, ovvero dischi dagli anni ’70 in giù, psichedelia, musica etnica africana, sudamericana, araba e così via.

B: da “A love explosion” direi anche molte colonne sonore.
G: sì, lì me ne sono divorate.
B: ne sei un collezionista?
G: no, non ho tantissima roba perché quelle cose sono super costose e difficili da trovare. Qualcosa ho, ma non tanto, per “A love explosion” ho usato sopratutto digitale, CD o mp3, sono sincero. “NOVANTA” invece è più preso da vinili.

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B: tornando a parlare di Hip Hop, e a proposito di Millelemmi, che è un mc noto per le tecniche anticonvenzionali nel fare Rap, mi è parso che in “NOVANTA” utilizzi le voci un po’ come se fossero un altro strumento musicale, le inserisci nella strumentale.
G: sì, mi piace l’idea che l’attenzione sia focalizzata sulla produzione, sul beat, sulla musica. Ogni pezzo è pieno di microdettagli, mi piace che uno alla decima volta che ascolta il disco trovi un particolare che ancora non aveva scoperto. Le voci in alcuni casi ho scelto di tenerle in evidenza, come ad esempio in “Cinico civico”, in altri pezzi tipo “Ghetto mala” ho scelto di amalgamarle più al pezzo perché il flow seguiva molto il beat, bello compatto e cremoso. Nel brasiliano, con Tio Scooby, ho fatto una via di mezzo, le mie basi non sono dei semplici beat Hip-Hop, sono molto più complessi, molte più tracce con molta più roba dentro, quindi automaticamente la voce si va ad inserire in un mare di roba ed è normale che sia un pochino più nascosta. In “Cinico civico” sono tre suoni, è più vuota delle altre produzioni e la voce è più in primo piano. Non mi piace l’effetto karaoke con la base sotto e la voce staccata da tutto il resto.

B: per gli artisti italiani a cui ti si accosta per sonorità, viene spontaneo chiedersi cosa ci fai in Italia. Kavemura sta ad Hong Kong, Dj Blue ad Amsterdam…
G: perché non ho ancora trovato una realtà all’estero. Se un domani potessi suonare in giro per l’Europa o per il mondo, vuol dire che posso fare questo lavoro ovunque. Per il momento, per i mezzi che ho, sto suonando tanto in Italia e quindi non avrebbe senso per me prendere e andarmene, che so, a Londra. Se per il prossimo disco trovassi supporto all’estero, magari una realtà che si occupi della produzione, ufficio stampa e altre cose, comincerei a girare.

B: qual è il tuo pubblico preferito o ideale?
G: è quello delle 4.00/5.00 del mattino! I fritti delle 5.00 del mattino, quando proprio riesco a empatizzare di più col pubblico e potrei suonare qualsiasi cosa.

B: tu suoni qualche strumento?
G: ho suonato il basso per un po’ di anni, suonicchio un po’ di tutto ma male. La maggior parte delle mie produzioni derivano da sample, anche se ovviamente una linea di synth la suono io, la batteria la suono io, in certi casi la programmo e in altri casi è più semplice suonarla perché viene più istintivo. Per “A love explosion” ho registrato chitarra, basso, oltre a sample e batterie. In “NOVANTA” ho suonato una serie di synth, percussioni, flautini vari…

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B: c’è qualche artista a cui ti senti vicino, a cui ritieni possa essere accostato il tuo stile?
G: mi sento vicino come tipo di ricerca a Populous, Clap!Clap! e Dj Khalab. All’estero mi piace molto Flying Lotus, The Gaslamp Killer – anche lui bello psichedelico!

B: io non trovo “NOVANTA” così tanto psichedelico…
G: secondo me lo è molto! “Apenas uma chance”, se senti bene, è molto psichedelica. Ce n’è un pochino dappertutto, anche se ovviamente non è il “Sgt. Pepper’s” dei Beatles – anche se mi piacerebbe tanto lo fosse… Ho cercato di metterci dentro ciò che ascolto.

B: stai già progettando qualcosa di nuovo, musicalmente?
G: musica molto Dub ma anche molto contaminata da musica tribale, africana; musica per le 4.00, le 5.00 del mattino, quel pubblico di cui ti parlavo prima! Musica per fritti!

B: sono uscite diverse recensioni e articoli su “NOVANTA”. Credi che il concetto che volevi esprimere sia stato colto o secondo te non è successo del tutto?
G: guarda, credo che il mio disco sia stato compreso alla perfezione. Il concept è molto chiaro e molto semplice.

E alla fine i fritti di Go Dugong si sono divertiti parecchio. Di nuovo sulla 90**, attraverso una Milano buia, silenziosa e non troppo fredda, forse anche grazie al calore di un disco che evoca scenari esotici e percorsi circolari…

** come sopra…

Fotografie: Piotr Niepsuj.

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Blema