Derek B – Bullet From A Gun

Voto: 4,5

La musica definisce alcuni dei migliori momenti della nostra vita, li fissa in uno spazio ben delineato, immune al trascorrere del tempo. Passano i decenni ma le emozioni non cambiano: un brano, un album, una compilation fatta a casa possono riesumare dal nulla l’istante in cui si stava ascoltando il walkman (per chi all’epoca c’era…) nel tragitto tra casa e scuola, il clima che si respirava nell’aria o il fetore del bus all’interno del quale erano stipati molti più studenti (e zaini) rispetto alla capienza massima consentita, il primo giro in città con gli amici di scuola e la sensazione che fosse tutto troppo più grande di noi, la prima cottarella, la prima volta che si è manifestato un sentimento d’indipendenza… Sensazioni che abbiamo tutti racchiuso nei dischi più significativi ascoltati durante la nostra adolescenza, momento magico corrisposto alla scoperta di un territorio musicale inesplorato ed eccitante come l’Hip Hop, giorni (nel mio caso) scanditi dal ritmo di “It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back”, “Tougher Than Leather”, “Paul’s Boutique”, “3 Feet High & Rising”, “Power” e tanti altri; e, (non molto) naturalmente, “Bullet From A Gun”.

Derek B – scomparso nel 2009 a soli 44 anni a causa di un attacco di cuore – è una figura forse controversa nel quadro dell’Hip-Hop anglosassone, ma la sua importanza storica è indiscutibile. Figlio di immigrati del Trininad e Tobago nonché figura pionieristica della scena radiofonica inglese dedicata alla musica black, Derek Boland sarebbe presto entrato a far parte di un meccanismo tanto entusiasmante quanto spietato, che l’avrebbe portato direttamente nella cerchia dei grandi di quel periodo – merito di un accordo manageriale sottoscritto nientemeno che con Russell Simmons – prima di essere rigettato nel completo anonimato (nonostante il successo dei suoi primi singoli nelle classifiche locali), per via di una predisposizione artistica spiccatamente americana e di conseguenza non rappresentativa dell’autonomia che l’Hip-Hop di sponda inglese stava anteponendo a tutto il resto.

Derek sarebbe quindi sparito con la stessa velocità con cui era emerso alla ribalta di una scena che l’aveva portato a esibirsi per Smash Hits e Top Of The Pops, gotha delle trasmissioni televisive UK dedicate alla musica, lasciando dietro di sé un importante tour mondiale in compagnia di Public Enemy e Run-DMC, diversi remix commissionati da artisti Hip-Hop e Dance, nonché i programmi (rimasti avvolti nel mistero più totale) di un secondo disco da realizzarsi in collaborazione con Dj Scratch. Unica testimonianza su lunga distanza del suo creativo operato, giunto alle nostre orecchie adolescenti grazie all’inclusione dell’omonimo pezzo nella compilation “Deejay Rap” curata da Radio Deejay e pubblicata nel 1988, è appunto “Bullet From A Gun”, perfetta sintesi delle varie sfumature del talento di Derek B.

Prima di una scaletta di tredici tracce (nella versione europea del CD in nostro geloso possesso), l’appena menzionata titletrack era particolarmente appropriata nel dettare le premesse verso l’attitudine del lavoro, grazie alla possente combinazione dei suoi tratti distintivi: un’introduzione parlata che nel nostro personale immaginario pareva provenire direttamente da un dialogo di “1997: fuga da New York”, un beat essenziale composto da clap e tellurici colpi di cassa, basso sintetizzato, un sample di LL Cool J e poi via con del Rap ben scandito e cosciente dei propri mezzi, che citava James Bond, Attila e la Regina d’Inghilterra quali strumenti per autocelebrare il proprio talento prima di lasciare la scena a una vivida descrizione di una mc battle londinese, generando già in fase introduttiva il pezzo più massiccio tra quelli in elenco.

Una buona porzione dell’album mostrava invece un lato maggiormente orecchiabile, senza però ledere la propria credibilità. “Good Groove” campionava la “ABC” dei Jackson 5 anticipando di qualche anno Kay Gee, regalando al brano quella musicalità così assente dagli episodi più duri, “Get Down” coniugava il suo attraente giro di piano a una sezione ritmica più elevata nelle tempistiche delle battute, creando una breve dimostrazione di storytelling pervasa da un sentimento di riverenza (<<I give thanks to the brothers from across the ocean/for giving me a sip of their magic potion…>>), abbeverandosi al contempo presso le fonti sacre dell’epoca (“Escapism”), esercizio portato a termine con successo anche dalla più grezza “Rock The Beat”, che campionava invece l’eterna “Funky Drummer”. “All City” non faceva che ripetere – comprensibilmente – le intuizioni di “Raising Hell” e “Licensed To Ill”, andando a pescare direttamente da “Smoke On The Water” e adagiando l’arcinoto riff su un trascinante ritornello.

Ascoltando con attenzione le varie tracce è evidente come il disco esprimesse in più punti l’ambizione del protagonista a giungere presso vette simili a quelle dei pariruolo statunitensi, un forte desiderio di far parte di un momento rivoluzionario, di appartenere a una famiglia allargata, compiaciuta nell’osservare la crescita dei propri semi sparsi in giro per il globo; un attestato che giunge simbolicamente dalle voci di Chuck D e Flavor Flav nello sketch che precede l’inizio della potente “Power Move”, non a caso plasmata quasi fosse una delle caotiche invenzioni organizzate dalla Bomb Squad per via dell’ossessività strutturale e la rumorosità della sirena campionata, metodo di assemblaggio certamente vicino a quello di “Human Time Bomb”, squisitamente hardcore.

Il brano più conosciuto rimane inequivocabilmente “Bad Young Brother”, strepitoso singolo aperto da un pirotecnico – per l’epoca – scratch e sorretto da un drum beat duro ma pure capace di chiamare in pista, episodio che, come tanti di quel periodo, decantava le possenti qualità del proprio deejay, in questo caso attuando un joke difficilmente identificabile con immediatezza per l’ovvia scarsità di materiale visivo a disposizione. Sarebbe stato proprio il video realizzato per il brano a svelare che il dualismo tra Derek B, il dj, ed EZQ, l’mc, in realtà non esisteva, sottolineando la poliedricità di un estro in grado di offire un rapping del tutto onesto ed efficace pur senza toccare particolari picchi tecnici (la mappa schematica vive per lo più di rime a coppie) e di esibirsi personalmente dietro i giradischi, fornendo un cospicuo quantitativo della produzione sotto l’attenta direzione di un altro precursore locale, Simon Harris.

Curioso notare come il burlesco sdoppiamento di personalità andasse in netto contrasto a una crisi d’identità ben intuibile dai testi, la quale aveva chiaramente portato Derek a tentare di tenere il piede in due sneaker differenti. La natura ossequiosa di “Get Down” veniva simbolicamente riassunta dall’accento americano recitato per tutto il disco, un modo per farsi accettare dalla controparte statunitense, ma pure di attirare le antipatie dei propri connazionali, sfociando nel lamento per il trattamento ricevuto in patria (<<In the States, the brothers, they are proud/In England they tried to pull me down…>> sostiene “All City”) nella stessa misura in cui cercava di rappresentare la stessa, come avvalorato dall’attacco di un altro singolo ben conosciuto, l’avvolgente “We’ve Got The Juice” (<<Step off New York cause London’s here…>>), o dalla contrapposta filosofia verso la tipica ostentazione americana espressa dalle liriche di “Success”. Se non altro i pensieri pacatamente ordinati di “Alright Now”, risplendente nella suo umore musicalmente più rilassato se confrontato col dinamismo complessivo, mettevano tutti d’accordo ammonendo sui pericoli portati da quelle major che avrebbero presto mietuto tante vittime in ambito Hip-Hop.

Da tutto ciò sono passati ben trent’anni e a nostro parere – probabilmente condizionato dall’affetto – il trascorrere del tempo non ha minimamente intaccato la consistenza di un lavoro che, al di là delle sue discusse contraddizioni stilistiche, non ha nulla da invidiare a molti dischi americani usciti nella sua stessa epoca, rimanendo al contempo più che rappresentativo della vecchia scuola inglese della seconda parte degli anni ottanta. Un pezzo di storia, ma anche di cuore.

<<We’re outta here, like a bullet from a gun>>.

Tracklist

Derek B – Bullet From A Gun (Mercury Records/Phonogram/Tuff Audio 1988)

  1. Bullet From A Gun
  2. Bad Young Brother
  3. Power Move
  4. Human Time Bomb
  5. All City
  6. Rock The Beat
  7. Get Down
  8. We’ve Got The Juice
  9. Alright Now
  10. Good Grove
  11. Success
  12. Derek B’s Got…!
  13. Bad Young Brother (Billy Beat Mix)

Beatz

  • Derek B and Simon Harris: 1, 2, 5, 6, 7, 12, 13
  • Derek B and Alan Scott: 3
  • Derek B: 4, 8, 10, 11
  • Simon Harris: 9

Scratch

All scratches by Derek B

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