Constant Deviants – Avant Garde

Voto: 4

ConstantDeviants2015500Le dinamiche dell’industria musicale spesso conseguono nella forzata giacenza nell’ombra di qualche gemma nascosta, lasciandole solo la speranza di poter un giorno riaffiorare alla luce. E’ un’immagine che rispecchia fedelmente le vicende dei Constant Deviants, i cui trascorsi sono sconosciuti ai più nonostante una rispettata militanza nel fitto sottobosco della scena indipendente, un breve cenno alla biografia del duo costituito da M.I. (Mission Impossible o, se preferite, Mic’s Illest) e Dj Cutt vede difatti la costituzione del gruppo verso la metà degli anni novanta, che sboccia in connessioni con Arista, Bad Boy e Roc-A-Fella, senza che nulla di ciò sfoci in risultati concreti. Pur continuando a lavorare a stretto contatto, il duo si riforma ufficialmente nel duemilanove ed “Avant Garde” rappresenta la loro quarta registrazione in studio.

Senza usufruire di queste informazioni (per le quali ringraziamo l’esistenza di internet!) avremmo rischiato di confonderli per degli esordienti, pericolo subito sventato sin dai primissimi ascolti di un disco che non lascia dubbi sulle qualità positive di M.I. e Cutt: il primo è un mc cui piace creare curati intrecci di rime scandendo con precisione ogni parola, si esprime attraverso un tono vocale calmo, nasale, utilizza un flow lento ma molto deciso, ricco di strascichi di sillabe, esibendo un’ampia gamma tecnica; il secondo è il produttore univoco dell’operazione – che facciamo notare essere infarcita di gradevoli scratch – nella quale sono immediatamente apprezzabili il ricco catalogo di ricerca dei sample e la potenza generale delle batterie e dei bassi, elementi su cui è montato un tappeto musicale melodico e massiccio in egual misura.

“Avant Garde” è un disco che sa trasmettere l’esperienza di chi l’ha composto, da qualsiasi punto di vista lo si analizzi. La maturità dei testi offerti da M.I. è tipica di chi ha vissuto accanto a situazioni difficili ed ha avuto la fortuna di poterle ponderare oggi, alcuni pezzi si riferiscono volontariamente alla violenza e al degrado dei quartieri più pericolosi di Baltimore e rinnovano il ruolo dell’Hip-Hop quale metodo di fuga dai cattivi propositi, altri parlano invece della quotidianità di una realtà piccola, fatta di traguardi da raggiungere con fatica e tour estenuanti dove scaldare poche persone, testi che offrono brevi passi filosofici e cercano di porsi le domande giuste proponendo ragionamenti su cui di tanto in tanto sarebbe bene soffermarsi. E’ una mentalità che affonda le proprie radici nella strada, ma che non smette mai di essere propositiva.

M.I. è capace di dipingere un quadro di vivido storytelling usando uno sfondo di squallore (“Which One”) e di descrivere ciò che il suo stesso ambiente gli suggerisce (“Machine Gun”, “I’m Still Up”) con la stessa lucidità con cui cerca di venire a capo di una relazione mentalmente complicata (“What’s Wrong With You”), un’ampiezza tematica che ne fa davvero apprezzare un talento che lo porta pure ad accantonare per un attimo le sue idee e mettersi alla prova con un’esibizione di pura tecnica, costruendo un intero testo su allitterazioni utilizzando solo parole che cominciano con la stessa iniziale del suo nickname (la conclusiva “M’s 4 Milleniums”). Magari non è in possesso di quella voce che cattura immediatamente, inizialmente la sua cadenza può sembrare a tratti un po’ flemmatica, ma col trascorrere degli ascolti si apprezza un flow preciso che di tanto in tanto diventa pure discorsivo, la chiarezza della dizione e la capacità di scrivere non solo rime stuzzicanti ma pure cori consistenti, mandando a segno un pezzo dopo l’altro, un altro attestato di qualità considerando il fatto che su quindici tracce si conta un solo featuring.

Lo stesso discorso è applicabile a Cutt, che gestisce il suo compito mettendo in campo tutto ciò che questi anni d’esperienza gli hanno insegnato. Le sue composizioni presentano strati sonori assemblati con armonia e orecchio sapiente (“Standards”), prelevano pezzi di xilofoni e pianoforti attraverso cui nascono loop freschissimi (“End All Be All”, “Avant Garde”, “Which One”), propongono delicate atmosfere dense di Jazz (“Whatever You Call It”, “Breathin'”), smontano e riassemblano parti di corde orientaleggianti ottenendo alcuni tra i momenti notevoli dell’album (“The Right Moment”), una serie di espedienti che creano un suono vario, la cui sensazione di omogeneità viene sottolineata da un mixaggio atto al fornire una generale ruvidità alla risultanza finale.

Ne deriva un disco in grado di elargire parecchie soddisfazioni a quei pochi che avevano già pratica della discografia dei Constant Deviants, ma soprattutto alla moltitudine di affezionati ai suoni mid-nineties che verranno a conoscerli solo grazie a quest’uscita, stuzzicando certo la curiosità di andarne a ripercorrere la carriera a ritroso. Che apparteniate all’una o all’altra schiera, più metterete sul piatto/lettore “Avant Garde” e sempre maggiore sarà la voglia di ripetere l’azione.

Tracklist

Constant Deviants – Avant Garde (Six2Six Records 2015)

  1. Avant Garde
  2. Standards
  3. It’s Like That [Feat. Aye Wun]
  4. End All Be All
  5. Side B
  6. Breathin’
  7. Whatever You Call It
  8. U Know What
  9. I’m Still Up/Which One
  10. Machine Gun
  11. I’m Wit It
  12. The Right Moment
  13. What’s Wrong With You/M’s 4 Milleniums

Beatz

All tracks produced by Dj Cutt

Scratch

All scratches by Dj Cutt

 

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